Responsabilità e solidarietà per lo spazio di un mattino?
Avevamo visto nei giorni scorsi la preparazione dell’isola di Lampedusa per la visita del papa. A differenza di quanto avviene «normalmente» da anni, centinaia di migranti appena soccorsi e sbarcati nell’isola sono stati trasferiti in altre località, sotto una rigida scorta di polizia che ha impedito persino l’avvicinamento di medici indipendenti, con la scusa che si rischiava il contagio di qualche malattia infettiva.

Un copione che a Lampedusa va in scena tutte le volte che si attende l’arrivo di una delegazione importante. Lo svuotamento dell’isola per fare trovare ai visitatori tutto in ordine. Poi, ad accogliere il papa, un gruppo di migranti ben selezionati, quasi tutti minori non accompagnati, che a Lampedusa dovrebbero restare il minor tempo possibile, per essere trasferiti in centri di accoglienza dove sia possibile la nomina di un tutore da parte dei tribunali minorili, e altri giovani provenienti dall’Eritrea. Nella stessa mattinata un’imbarcazione carica di migranti provenienti dal Mali, partita dalla Libia, veniva soccorsa nelle acque antistanti l’isola. Ma questi migranti sono scomparsi nel nulla e il papa non si è neppure avvicinato al centro di accoglienza di Contrada Imbriacola, luogo che negli anni è stato utilizzato anche come centro di detenzione informale.

Nei giorni precedenti la visita del papa si erano verificati altri fatti che sono stati trascurati nell’enfasi buonista che ha pervaso buona parte dei media italiani. Il 4 luglio si era svolto a palazzo Chigi l’ennesimo vertice Italia-Libia, con particolare riferimento ai profili della sicurezza, del contrasto alla immigrazione clandestina e al traffico di esseri umani, nel corso del quale è stata sottolineata «l’importanza del livello di collaborazione già in atto tra i due Paesi e la comune volontà di proseguire e rafforzare ulteriormente i rapporti bilaterali». Il ministro libico Abdelaziz avrebbe confermato la determinazione dell’autorità di Tripoli a un maggiore impegno nel controllo delle proprie coste «al fine di evitare il ripetersi delle tragedie del mare». In realtà, per impedire le partenze di imbarcazioni che potessero raggiungere le coste italiane. E sono tutte imbarcazioni cariche di potenziali richiedenti asilo. Nelle parole del ministro dell’interno Alfano, che ha annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro permanente di alto livello, il senso di questa rinnovata collaborazione: «Lavoreremo attivamente, con un forte spirito di collaborazione tra i nostri Paesi, per fare fronte al fenomeno dell’immigrazione clandestina, nel pieno rispetto dei diritti umani».

Un rispetto per i diritti umani che sarebbe stato opportuno applicare anche nel corso della stessa settimana che ha preceduto la visita del papa a Lampedusa. Da un comunicato del ministero dell’interno si è infatti appreso che in questo periodo «sono stati rimpatriati, con diversi voli aerei, 103 immigrati extracomunitari, soprattutto di nazionalità egiziana, tunisina e marocchina, rintracciati sul territorio nazionale». Si tratta di voli di rimpatrio che privano i migranti di ogni possibilità di fare valere una richiesta di asilo o un qualsiasi diritto di difesa.

Le parole del papa da Lampedusa hanno sollecitato un’assunzione di responsabilità per le troppe vittime delle tragedie dell’immigrazione, vittime – occorre ricordare – delle politiche di contrasto e di confinamento attuate da tutti i governi europei con l’aiuto di alcuni paesi di transito. Perché l’effetto di questo appello non duri solo lo spazio di un mattino occorrerebbe una revisione organica della normativa interna in materia di immigrazione, a partire dall’abrogazione della Bossi-Fini e dei pacchetti sicurezza voluti da Maroni nel 2009 e nel 2011, già sanzionati in parte dalla Corte Costituzionale, e una rivisitazione degli accordi bilaterali in modo da aprire corridoi umanitari attraverso i quali favorire in condizioni di sicurezza l’ingresso e il reinsediamento dei potenziali richiedenti asilo, un diritto universale affermato anche nella nostra Costituzione. E per quelli che arrivano occorrerebbe strutturare un vero sistema di accoglienza decentrata chiudendo strutture ingestibili come i Cara di Mineo (in provincia di Catania) e Bari.

E infine un vero gesto di riconoscimento per le tante, troppe vittime senza nome. Centinaia di genitori tunisini hanno raccolto il loro Dna per scoprire almeno i corpi dei loro figli tra le tante salme senza nome che sono sepolte nei cimiteri siciliani, e non solo a Lampedusa. Le date di partenza di questi viaggi senza arrivo sono note, una ricerca sarebbe possibile. Le autorità italiane saranno capaci almeno di assumersi questa responsabilità?

*Università di Palermo