Come articolazione del Napoli Teatro festival estivo, il direttore Ruggero Cappuccio ha predisposto un appuntamento invernale dal titolo vagamente pasoliniano, Quartieri di vita, che oltre ad animare punti diversi della città, addensa un avvenimento internazionale in un luogo molto centrale, anche se mediamente sconosciuto ai più. Il luogo in questione è la bellissima e antica chiesa di Donnaregina vecchia, nel complesso del vescovado, che si rivela un vero piacere per l’occhio oltre che un’oasi di spiritualità. E lo spettacolo che per tre sere vi è stato presentato in questa chiusura di Avvento, proprio a temi strettamente connessi si ispira.

 

 

Si tratta di una edizione, totalmente rinnovata al belga Singel di Anversa, di un titolo già visto di Romeo Castellucci, Il velo nero del pastore, o meglio The Minister’s black veil, una produzione internazionale che a porgere al pubblico (o ai fedeli) è sotto quella veste e quel velo l’americano Willem Dafoe.

 

 

Il titolo nasce dalla omonima novella di Nathaniel Hawthorne, che racconta appunto del sacerdote che apparve un giorno alle funzioni della sua piccola e sperduta comunità puritana del New England, col volto coperto da un velo nero a tenere il suo sermone. E da quel giorno non se lo tolse più dal viso fino alla morte.

 

 

Quel gesto, e il suo prosieguo, è quello del racconto originale dove manca invece la sostanza di quanto il prete disse in quella sua predica. Da qui è partito il regista, chiedendo di ri/descriverne un testo a sua sorella Claudia Castellucci (da sempre quella della Societas Raffaello Sanzio è una fertile e sinergica saga di famiglia). Un testo di analisi e indagine biblica ed esperienziale, che diviene così il terreno del percorso spettacolare, quasi una meditazione collettiva che mantiene esternamente i caratteri di un atto devozionale.

 

 

Tale infatti appare anche il ruolo del pubblico, seduto sui banchi di chiesa. Chi ha fatto il chierichetto in epoca preconciliare, o frequentato anche più recentemente chiese di paese al tramonto, si ritroverà a sentir cantare in latino l’invocazione mariana del Salve Regina, accompagnato dall’organo davanti all’abside luminosa e di stile composito di Donnaregina vecchia.
Il pastore entra dal fondo: abito talare nero e velo ancor più nero sul volto, fino al labbro superiore, così da mostrare l’energica mascella di Willem Dafoe, che diviene qui fonte sapienziale. L’attore bravissimo, fondatore agli esordi del teatro politico del Wooster Group, e poi passato per tanti ruoli di santo tragressore, dal Cristo di Scorsese al Pasolini secondo Abel Ferrara, ora, via Hawthorne, assume quella santità quasi in proprio, pastore d’anime come pecorelle smarrite e ritrovatesi in teatro, parroco campagnolo e lucido di fedeli devoti quanto raziocinanti.

 

 

L’autrice del testo non lesina citazioni e aperture del vecchio Testamento, ma la sua guida sicura è Paolo di Tarso, autore di epistole best sellers e di interpretazioni fondanti per il cristianesimo (ormai note anche ai lettori più laici che hanno amato Il regno di Emmanuel Carrère). Per arrivare infine alla beatitudine del Monte Tabor dove la trasfigurazione di Cristo appaga cuore e mente di Pietro, Giacomo e Giovanni. E appaga anche il pubblico, che intravede un senso non solo alla fede, ma anche al teatro, e a qualunque azione (anche spiazzante, come nascondersi allo sguardo dietro un velo), che nel dialogo degli uomini e del loro pensare sia in grado di sviluppare comunione, comunicazione, comunità…
Ci si illude di uscire più «buoni» dai marmi di Donnaregina nella notte napoletana. Non prima di aver riconsegnato il libretto (modello messale) su cui si è potuta seguire anche in italiano la bella traversata socioteologica del reverendo Willem Dafoe, grande attore.