Priva di memoria e lacerata dai populismi e dai particolarismi egoistici. È l’Europa secondo papa Francesco, così come l’ha mostrata ieri sera ai 27 capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione europea, ricevuti in Vaticano in occasione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma.

Rispetto alle precedenti due puntate del discorso del papa alle istituzioni europee – la prima con gli interventi al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa nel novembre 2014 a Strasburgo, la seconda per la consegna del premio “Carlo Magno” nel maggio 2016 – questa volta i toni sono più pacati, ma i contenuti chiari.
La memoria è il punto di partenza, e non poteva essere diversamente dal momento che i leader dell’Ue sono a Roma per commemorare un evento. Una memoria che «non può essere solo un viaggio nei ricordi» – «sarebbe infatti sterile se non servisse a indicarci un cammino» – ma deve servire per affrontare «le sfide dell’oggi e del domani», ammonisce Francesco, secondo il quale «i nostri giorni» sembrano contraddistinti da un «vuoto di memoria» che ha cancellato la «fatica» profusa per «far cadere» il muro che divideva l’Europa («quell’innaturale barriera dal Mar Baltico all’Adriatico»). «Laddove generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i “pericoli” del nostro tempo – ecco, secondo il papa, il simbolo del «vuoto di memoria» di oggi – a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari». I leader europei ascoltano in silenzio.

Francesco fa riferimento alle radici cristiane dell’Europa – come fa del resto il premier italiano Gentiloni, nel saluto iniziale, associandole alle conquiste dell’Illuminismo -, ma senza insistere troppo, anzi parla della necessità di «edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente posto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente».

Insiste invece sulla «solidarietà», parola chiave dell’Europa da costruire, affinché i Trattati non rimangano «lettera morta». Una solidarietà «quanto mai necessaria oggi, davanti alle spinte centrifughe, come pure alla tentazione di ridurre gli ideali fondativi dell’Unione alle necessità produttive, economiche e finanziarie». Soprattutto, puntualizza il pontefice, una «solidarietà che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi» e che non deve rimanere «un buon proposito», ma un’azione politica, «caratterizzata da fatti e gesti concreti, che avvicinano al prossimo, in qualunque condizione si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e “guardare oltre”».

È «alla politica che spetta tale leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa». In un certo senso si tratta di una rilettura in chiave solidaristica dell’Europa “a due velocità”. Il premier greco Tsipras sembra annuire, la cancelliera tedesca Merkel ascolta immobile. «L’Europa – aggiunge Francesco – non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire», e anche da questo deriva «la sensazione che sia in atto uno “scollamento affettivo” fra i cittadini e le Istituzioni europee, sovente percepite lontane e non attente alle diverse sensibilità che costituiscono l’Unione».

Oltre alla solidarietà, secondo il papa, il futuro di un’Europa, liberata dalla «paura di false sicurezze» e alleggerita da un benessere che sembra «averle tarpato le ali», risiede del «dialogo», nella «pace» e nello «sviluppo». «La sua storia è fortemente determinata dall’incontro con altri popoli e culture e la sua identità è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale», «non ci si può limitare a gestire la grave crisi migratoria di questi anni come fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza», prosegue il pontefice. «Lo sviluppo non è dato da un insieme di tecniche produttive. Esso riguarda tutto l’essere umano: la dignità del suo lavoro, condizioni di vita adeguate, la possibilità di accedere all’istruzione e alle necessarie cure mediche». «Non c’è vera pace – conclude – quando ci sono persone emarginate o costrette a vivere nella miseria. Non c’è pace laddove manca lavoro o la prospettiva di un salario dignitoso».