Un’intera giornata di riflessione sulla futura campagna elettorale, prima di Capodanno. Un brain storming per iniziare a individuare messaggi, slogan, temi che funzionino. L’ha organizzato il presidente del Senato Piero Grasso con il suo staff e lo staff di Leu (Mdp, Si e Possibile) venerdì scorso alla sede di Sinistra italiana a Roma, in via Arenula. La campagna sarà coordinata dall’ex presidente di Legambiente Rosella Muroni che ha alle spalle un’esperienza ventennale nell’associazione ecologista.

DALLA RIPRESA GRASSO dismetterà i suoi panni istituzionali, ma appena appena. La sua campagna sarà «seria, sobria, non litigiosa», i suoi contenuti saranno «proposte concrete non promesse impossibili», in linea con il profilo da «servitore dello stato» dell’ex magistrato.

È PER QUESTO che non ha voluto rispondere alla polemica sanguinosa con cui il Pd lo ha martellato in questi giorni attraverso il tesoriere Francesco Bonifazi su un debito di oltre 80mila euro con il partito che ha abbandonato. Condizione in cui si trovano altri ex Pd. Ma l’attacco puntava soprattutto a far risaltare un’altra cifra: quella della sua ultima dichiarazione di reddito di Grasso, oltre 320mila euro, ben oltre la soglia prevista per i manager pubblici.

Dopo due giorni di no comment fonti di Leu hanno fatto sapere che si tratterebbe di una polemica a scoppio ritardato perché il presidente riceve una pensione per i suoi 40 anni in magistratura e un’indennità da senatore «che per legge è incedibile».

IL TENTATIVO di essere trascinato nella mischia è respinto, per ora. La sinistra a sinistra del Pd lascerà ad altri il ruolo «kombat». Se Massimo D’Alema – già a lavoro in Salento a caccia dei suoi voti – batte sull’antirenzismo, e Pier Luigi Bersani continua a tallonare da vicino i 5 stelle (l’ex premier considera invece anche solo l’ipotesi di un’alleanza con i grillini un boomerang e i suoi lo descrivono molto preoccupato per questo), ai quarantenni toccherà la definizione di un profilo programmatico più netto della lista: «Renzi si fa campagna contro da solo: così si è già autosconfitto al referendum costituzionale di un anno fa, basta lasciarlo fare», assicura Pippo Civati. «Ciò che non siamo e ciò che non vogliamo oramai è chiaro: non siamo né il Pd né il movimento 5 stelle. Ma adesso dobbiamo lavorare su pochi punti che facciano capire bene chi siamo e cosa vogliamo. Insomma, ora dobbiamo darci un profilo programmatico netto ».

QUESTA SARÀ LA MISSIONE dell’assemblea di domenica 7 gennaio all’Hotel Ergife (Roma), dove verrà presentato il programma della nuova forza politica (che nascerà dopo le elezioni, se tutto va per il verso giusto). E poi delle assemblee locali l’8 e il 9 gennaio dove in particolare verranno ascoltati i territori sulle candidature.

MA LA PAROLA D’ORDINE per tutti, da Grasso al militante semplice, sarà «serietà»: per marcare le distanze dal renzismo di questi anni, per raccogliere i delusi e nauseati dagli annunci e dallo storytelling, dalla favola dei gufi e di tutta la comunicazione dem. Che in queste settimane di sondaggi in picchiata diventa attrezzistica in via di rottamazione anche per il Nazareno.

INFATTI ANCHE RENZI si è convinto che lo stile Pd deve cambiare. Anche lui nell’ultima enews è tornato a battere sul tasto della «serietà»: per fare del Pd «il primo partito al proporzionale e il primo gruppo parlamentare nella prossima legislatura» ha scritto, (di vittoria non parla neanche) «dobbiamo impegnarci tutti. Per una campagna elettorale seria, civile, forte che faremo con tutta la squadra del Pd al lavoro, a cominciare dal premier Gentiloni e dai suoi ministri, a cominciare dai sindaci, specie quelli dei comuni più piccoli».

È IL MESSAGGIO che già Gentiloni aveva lanciato alla conferenza di fine anno, spinto anche dal Colle che lo invita a una campagna «sobria» e fuori dalla mischia per preservare il ruolo di presidente del consiglio almeno fino a che il nuovo parlamento non riuscirà ad eleggerne un altro. «Il Pd ha tutto l’interesse ad apparire quello che è: una forza tranquilla di governo», ha detto il premier citando il Mitterrand vincente del 1981. Ripetendo le stesse parole che aveva pronunciato Renzi poche ore prima.