La figura del padre rappresenta senza dubbio uno degli elementi essenziali all’interno di ogni cultura. Nella mitologia greca, Crono è il padre che divora i propri figli fino a quando l’ultimo, Zeus, sottrattogli dalla madre, Rea, lo sconfigge, liberando anche i fratelli. Del resto anche Crono aveva evirato il proprio padre, Urano. In ambito ebraico e cristiano, poi, Dio si identifica con la figura del padre e il quarto comandamento prescrive: «Onora il padre e la madre». Nel Novecento, la figura del padre attraversa una crisi irreversibile, così come tutti quegli elementi che fino ad allora avevano rappresentato delle certezze inconfutabili. Freud teorizza il complesso di Edipo e fa nascere la civiltà dalla ribellione, e dall’uccisione con conseguente pasto rituale, da parte dei figli nei confronti del padre-padrone. David Cooper e gli esponenti dell’anti-psichiatria sveleranno i meccanismi repressivi insiti nella vita famigliare. E, per quanto riguarda la letteratura, non c’è probabilmente testo più significativo e illuminante sui rapporti padre-figlio della Lettera al padre di Franz Kafka.
Ora, questa figura così ingombrante e importante sbarca a pieno titolo anche nella letteratura di genere, acquisendo caratteristiche oscure e terrificanti. Se ne fa carico Sandrone Dazieri, con il suo ultimo romanzo, significativamente intitolato Uccidi il padre (Mondadori, pp. 560, euro 18). La storia è, almeno a prima vista, quella classica di un buon thriller. Un bambino è scomparso e la madre è stata decapitata. Le indagini puntano subito sul padre del piccolo. Entra, però, in scena, una poliziotta in congedo, Colomba Caselli, chiamata dal suo vecchio capo, il dottor Rovere, a svolgere un’indagine parallela e non ufficiale. E proprio Rovere – altra figura paterna tra le varie che costellano il libro – la mette in contatto con Dante Torre, genio dalle ineguagliabili capacità induttive, che ha risolto molti casi come consulente privato specializzato in persone scomparse e abusi infantili. Quest’ultimo ha una storia terribile alle spalle: da bambino era stato sequestrato e tenuto prigioniero per anni in un silos da un uomo misterioso che mirava anche ad educarlo e a plasmarlo, punendo o premiando i suoi comportamenti, e che si faceva chiamare il «Padre». Dante accetta di affiancare Colomba nelle indagini solo perché nel caso prospettatogli è sicuro di riconoscere il modus operandi del suo vecchio sequestratore, da tutti ritenuto morto da tempo.
Tra colpi di scena, avvenimenti incalzanti e sostenuta da una scrittura tagliente, rapida e avvincente la storia si dipana senza che il lettore in pratica riesca mai a distogliere lo sguardo dalla pagina scritta. Ma quello che colpisce di più sono le figure dei due investigatori, entrambi colpiti nel profondo da avvenimenti che hanno turbato la loro psiche, rendendoli completamente diversi dalle persone cosiddette normali. È vero che esiste una lunga tradizione nell’ambito della letteratura gialla di protagonisti caratterizzati come diversi, emarginati o drop-out. Basti pensare al padre di tutti i detective, Sherlock Holmes, cocainomane impenitente. O ai personaggi più famosi di Agatha Christie, Poirot e Miss Marple, uno straniero e una vecchietta. O, in tempi più recenti, al commissario Daiquin, omosessuale colto e ribelle, nato dalla penna di Dominique Manotti. Sandrone Dazieri, però, con i suoi eroi sembra andare ancora più avanti rispetto ai suoi illustri predecessori e pare affascinato ed interessato soprattutto alle patologie psichiche. Del resto, il suo personaggio più famoso, protagonista di una serie di splendidi noir, il Gorilla, era uno schizofrenico dotato di due personalità distinte che riuscivano a comunicare tra loro solo lasciandosi dei bigliettini. Anche questa volta, quasi a non voler smentire il suo marchio di fabbrica, Dazieri delinea due personaggi di cui uno, Dante, soffre di innumerevoli fobie e paranoie per ciò che ha sofferto da piccolo, l’altra, Colomba, a seguito di un drammatico episodio accadutole da poco – e che viene svelato un po’ alla volta nel corso del romanzo – ha i nervi a pezzi ed è soggetta a frequenti crisi di panico.
Il tutto, poi, ambientato in una città, Roma, descritta in maniera inconsueta dallo sguardo dell’autore – cremonese di nascita e uso ad ambientare i suoi scritti prevalentemente a Milano – soprattutto per quel che concerne le periferie e le bande giovanili che le abitano. Mentre accanto alla figura del «Padre», e quasi sovrapponendosi ad essa, aleggiano, minacciosi, come nella migliore tradizione del noir, i postumi di alcuni dei più oscuri misteri della storia recente del nostro paese.