Cosa è accaduto in questo decennio nell’immaginario? Molto moltissimo, e per dare giudizi o valutazioni si è ancora troppo vicini. Di certo il mondo vi è esploso e i suoi frammenti sempre più inafferrabili hanno imposto deviazioni: che raccontare? Come porsi rispetto al sentimento del decennio? Il filo che connette l’immaginario alla realtà si ingarbuglia. O prende strade nette. #OscarsSoWhite, ovvero a Hollywood la presenza marginalizzata degli african-american nello star system. #MeToo, dal caso Weinstein in poi la (giusta) rivendicazione della parità nell’industria cinematografica mondiale che si traduce in scelte di direzione – opportunismi inclusi – e persino censure nel caso del #MeToo che spostano l’oggetto della discussione da questo alle opere di registi accusati in passato di violenze – vedi Polanski o Woody Allen, peraltro quest’ultimo dichiarato innocente da ogni accusa della figlia Dylan. Ma oscurare i film aiuta davvero a stabilire una parità di genere, un’eguaglianza salariale e di diritti? Nel groviglio cambiano i dress code, si inseriscono figure femminili nelle storie, si cerca di adeguare a un «politicamente corretto» spesso ipocrita se non peggio. L’immaginario soffoca e straborda, si appiattisce ma anche sfugge. Qualche pista.

RIPETIZIONE E NOSTALGIA
In chiusura del decennio ha a lungo tenuto banco la polemica suscitata dalle parole di Scorsese «contro» i film di supereroi Marvel – secondo il regista una sorta di luna park per il grande schermo. Che si sia d’accordo o meno con il giudizio di Scorsese, è indubbio che nel suo editoriale «chiarificatore» sul «NY Times» tocca un argomento centrale in merito al cinema degli Studios nel decennio che ci stiamo lasciando alle spalle: «Ciò che non si trova in quei film è la rivelazione, il mistero o un sincero pericolo emotivo. Non si corre alcun rischio. I film sono fatti per soddisfare una specifica serie di bisogni, e sono progettati come variazioni su un numero finito di temi».

Come si è spesso sottolineato, a caratterizzare tanto cinema degli «anni 10» è stata infatti la riproposizione di scommesse vincenti: film, serie tv, personaggi, ambientazioni del passato o attuali da cui nascono la miriade di sequel, prequel, spin-off o saghe come quella degli Avengers. E basta guardare a alcuni dei titoli dell’anno prossimo – il sequel di Top Gun, quello di A Quiet Place di John Krasinski, il nuovo Ghostbusters – per capire che «non correre alcun rischio» è il mantra che continua a indirizzare il core business degli Studios. A questo scopo, fondamentale è stato il sentimento anch’esso caratteristico del decennio: la nostalgia, il ritorno incessante verso un «posto delle fragole» solitamente collocato intorno agli anni 80/90.

Da Guerre stellari, con le sue infinite propaggini fra grande e piccolo schermo, ai vari remake/reboot: classici Disney come Mary Poppins e Il re leone, o Jumanji, Halloween eccetera. E c’è anche chi ha eletto la nostalgia a tema principale: lavori come Stranger Things o l’esordio di Jonah Hill con Mid 90s girano intorno a questo sentimento, vero protagonista di storie distantissime tra loro. Senza escludere che guardare al passato possa anche rappresentare una prospettiva sul futuro, intravisto fra le pieghe del nostro presente nostalgico, come testimoniano alcuni dei migliori risultati di questa «tendenza»: per esempio Blade Runner 2049 di Villeneuve o il quarto Mad MaxFury Road (2015) – di George Miller, la distopia ambientale e «politica» a cui il nostro mondo – ben rappresentato dall’Australia di Miller che in questi giorni sta letteralmente andando a fuoco – va incontro.

CINEMA ITALIANO
Tra la commedia all’italiana – che per ogni regista made in Italy è il riferimento unico – e quel sentimento nostalgico e sempre presente di un cinema italiano che è stato grande nel mondo, di cui gli osservatori esterni vogliono continuare a cogliere i segni che furono – delle sicurezze, quelle che mandano in visibilio l’Academy di fronte agli strombazzamenti sorrentiniani conditi da Dolce vita – il nostro cinema ha trovato in questo decennio degli altri risultati, decisi, netti ma non arroganti, che nelle accoglienze critiche internazionali non solo oscarizzate, lo hanno reso di nuovo protagonista e ancora più quando imprevisto.

Pensiamo alle giravolte emozionali di Alice Rohrwacher, dai suoi esordi con Corpo celeste passando per Le meraviglie fino a Lazzaro felice, attraversati da una forte partecipazione alla storia italiana, da un passato declinato nel presente che si fa invenzione formale, di mondi, di figure archetipe. O alla realtà resa narrazione spericolata da Jonas Carpignano (A Ciambra, Mediterranea): i suoi viaggi a sud – Gioia Tauro – fronteggiano spavaldi la cronaca rovesciandone gli stereotipi: ragazzini rom impertinenti occupano lo schermo, sono «bravi ragazzi» – scorsesianamente parlando – senza mitizzazioni ma con l’energia «reale» del vissuto.

E la commedia? È irriverente e un po’ punk nelle mani di Gianni Zanasi – che ne riscrive le battute sul corpo dei suoi attori come fosse un Tati (Troppa grazia). Diviene romanzo popolare attraversato da un sentimento intimo nello sguardo di Pietro Marcello (Martin Eden). Mentre la storia d’Italia oscilla nell’oggi, si può tradurre Leopardi o il Risorgimento (Il giovane favoloso, Noi credevamo) nella contemporaneità come ha fatto Mario Martone – artefice anche di quel rovesciamento dell’attuale immagine vincente italica – sud+Gomorra – in Il sindaco del Rione Sanità.

Poi c’è chi fa parte della storia del cinema italiano eppure è capace di spiazzare la propria opera a ogni nuovo appuntamento, come fa Marco Bellocchio fino a Il traditore. O come sapeva fare Bernardo Bertolucci che in Io e te (2012) realizza un film con lo stupore di un ragazzo e la sensualità delle prime volte. O ancora come continua a fare con ostinazione Franco Maresco nelle sue autobiografie di una nazione, doppi passi intimi e collettivi – Belluscone, La mafia non è più quella di una volta. Si tratta di mettersi in gioco, ogni volta di reinventare la propria poetica: Matteo Garrone dall’Estate romana arriva al mondo del «fantasy» nel Racconto dei racconti rendendolo un riflesso dei sentimenti contemporanei – e da Reality a Pinocchio.

STRAVAGANZE
De Oliveira ha voluto che Memorie e confessioni fosse mostrato dopo la sua morte. Sembrava un capriccio o una stravaganza ma una volta visto la ragione era chiara: il film svelava a noi, gli spettatori, il suo laboratorio, i dettagli quotidiani del suo universo poetico. Eppure non è un film «testamentario» ma al contrario un’opera viva, aperta, mutevole. L’idea del «film testamento» è stata espressa anche rispetto a The Irishman di Scorsese, che invece è soprattutto un divertimento, un modo per ritornare nel proprio universo consapevole dell’impossibilità oggi di quel fare cinema – che è targato Netflix – persino coi trucchi. Difatti i costosissimi ringiovanimenti degli attori non li ringiovaniscono. Un’operazione teorica la sua ma all’opposto della «nostalgia». Ciò che era (il cinema) nel ’900 non può più essere ora, se non come vintage – una nostalgia per ciò che non si è vissuto assai confortevole.

Il tempo è qualcos’altro. Quello di in cui si immerge Richard Linkaleter ritrovando personaggi che cambiano come nella vita, nei sentimenti, nelle storie – Boyhood. È il suo un archivio di ispirazione, l’archivio del cinema, l’archivio del mondo. Perché come ci dice Godard – il «passaporto per la realtà» è lì, nella distanza della narrazione, nelle immagini che ci guardano, ci interrogano, rivelano, parlano.