L’allestimento è cambiato di poco, qualche tendone come sala provvisoria non c’è più sostituito da nuovi spazi altrettanto temporanei seguendo l’alternanza degli sponsor. Quello che è cambiato parecchio, almeno negli ultimi due anni, è il festival. La direzione di Antonio Monda sembra avere rinunciato a renderlo tale, ambizione che è stata invece del predecessore, Marco Mueller, per allinearlo all’idea di festa iniziale: film in anteprima, qualche star, incontri con personaggi vari da far sfilare sul red carpet.

 
Un party  nella città del cinema (e della fiction) ma come sappiamo c’è party e party e questo qui non brilla per fantasia. I titoli, scelti tra quelli «importanti» dell’anno sono anteprime, quasi tutti in uscita, un’ottima opportunità per le distribuzioni di sfruttare l’evento e viceversa. E sono gli stessi che compiono un tour quasi obbligato: Toronto, il New York Film festival, Londra seguendo i trend tematici del momento, a cominciare dalla questione del «cinema black». Anche questi – specie Londra e New York – sono sono festival metropolitani però in entrambi, pure se in modi diversi, l’impressione è che ci sia comunque una progettazione nella Festa romana assente.

 
Tra quei titoli di richiamo c’è Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan – in Italia esce il 1 dicembre – che ha iniziato il suo cammino lo scorso gennaio al Sundance per poi approdare a Toronto e New York, accolto ovunque con entusiasmo (Amazon l’ha comprato per dieci milioni di dollari).
Melò familiare e al maschile – le figure femminili sono importanti ma il racconto segue soprattutto il filo della «paternità» – con due fratelli, il maggiore dal cuore matto per una malattia congenita, persona splendida e amatissima dall’intera comunità di Manchester, che muore lasciando solo il figlio adolescente, Patrick detto Patty (Lucas Hedge). La madre del ragazzo è andata via da tempo, alcolista e fuori di testa, per questo nel testamento l’uomo ha nominato tutore del ragazzo suo fratello minore, Lee (Casey Affleck), che ha lasciato la cittadina sul mare anni prima autoesiliandosi a Boston. Guardiano tuttofare di vari stabili, malpagato, rabbioso e solitario Lee ha un passato che non sa perdonarsi e che sconta infliggendosi una vita di schifo.

 

 

«Non ce la faccio a dimenticare» dice al nipote e nemmeno la comunità che lo guarda di traverso, rancorosa e intimorita. Sullo sfondo il paesaggio del New England, la luce del mare, la pesca tramandata di generazioni e una working class di pescatori che non vuole farsi sopraffare dalle nuove economie pure se per molti le barche sono diventate troppo care.
Filmare il tempo, i rapporti, il flusso delle esistenze, quello che riesce con un’alchimia leggera a registi come Linklater sembra meno immediato per Lonnergan, anche se alcuni passaggi, alcuni momenti di confronto tra i due protagonisti, il ragazzo e lo zio, illuminano intensamente la dimensione del tempo nel quale si dipanano. È un film classico, in certe scelte persino convenzionale Manchester by the Sea (tra i produttori c’è Matt Damon),lo spazio su cui punta la regia di Lonergan è quello delle relazioni a cui da forma con delicata sensibilità.

 

 

L’orizzonte emozionale dei suoi «eroi» rimane aperto, anche quando è tutto deciso, uomini che fanno fatica a orientarsi nel dolore e nelle emozioni, negli sbagli e nelle incertezze della vita che comunque vada si impone. Con o senza di loro.