Percorrendo la strada provinciale 52, che si snoda prossima al confine tra le province di Oristano e Nuoro, per raggiungere la miniera di Funtana Raminosa è necessario prestare una certa attenzione alla segnaletica stradale che evidenzia il cambio di direzione: è sovrastata da un più appariscente cartello che indica la compresenza di un sentiero escursionistico. Non sorprende quindi che da subito si abbandoni la strada asfaltata per percorrere una carrareccia polverosa e saltellante, la quale si dipana per alcuni chilometri lungo una fitta boscaglia su ambedue i lati, in cui a farla da padrone sono in buona parte gli alberi di sughero decorticati a seguito della consueta raccolta estiva.

L’itinerario che obbligatoriamente impone una ridotta velocità di percorrenza, è alquanto suggestivo ed è il viatico migliore per andare a conoscere il complesso minerario di cui nel dicembre 2019 è stata comunicata la riapertura al pubblico per la primavera 2020 da parte dell’amministrazione comunale di Gadoni, a cui appartiene.

A seguito della pandemia da coronavirus, l’accessibilità a Funtana Raminosa è possibile solo dallo scorso mese e con tutte le accortezze sanitarie del caso. La ritrovata fruibilità è un progetto portato avanti dal comune barbaricino in collaborazione con il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, con l’intento di aumentare i flussi turistici e conseguentemente, garantire una filiera lavorativa occupata nella gestione della struttura e nell’accoglienza del pubblico. Lo spiega Alessandro Abis, ingegnere minerario di sottosuolo,  oggi coordinatore regionale dell’Aigae (Associazione italiana guide ambientali escursionistiche): «Funtana Raminosa come molte miniere sarde, è inserita in un contesto paesaggistico straordinario. È una delle più complete, avendo conservato buona parte delle attrezzature e delle macchine pressoché intatte e ancora oggi funzionanti. Può inoltre garantire, sia nel soprassuolo che nel sottosuolo, visite guidate curate da ex minatori. Ha un potenziale enorme che, in prospettiva, le può permettere di diventare un prodotto turistico importante. Da inserire in un tipo di turismo auspicabile oltre che per il comune di Gadoni, anche all’intera Sardegna, che faccia riferimento non solo all’allungamento della stagione balneare, ma alla valorizzazione di altri segmenti di rilievo, come il turismo escursionistico e dell’archeologia industriale mineraria».

Lo spettacolo a cui si assiste all’ingresso della valle contornata dai due massicci montagnosi posti l’uno davanti all’altro e in cui è incastonata la miniera, è davvero emozionante. Mentre boschi di pini e castagni si susseguono l’uno dopo l’altro ed i mufloni si rincorrono lungo le rocce carsiche, si può essere fortunati e vedere volteggiare in alto nel cielo l’aquila reale che qui risiede. La linea d’orizzonte che si prospetta alla vista è davvero mozzafiato ed è il preambolo, parafrasando il professor Luciano Ottelli, il più importante geologo sardo di sempre, di una vera e propria passeggiata nei sentieri della memoria.

Funtana Raminosa, il cui nome in sardo arcaico è traducibile come «pozzo di rame», deve alla presenza del metallo rosso la propria identità, di cui si ha memoria sin dal periodo eneolitico. Vari ritrovamenti nel corso del tempo testimoniano la presenza di fonderie già in età nuragica, come dimostrano alcuni bronzetti rinvenuti in aree archeologiche adiacenti. Lasciarono un segno anche cartaginesi, fenici e romani, a cui sono dedicate proprio due delle principali gallerie, la Fenicia e la Romana. Lo sfruttamento del giacimento minerario per come lo si conosce prende il via con una prima fase di esplorazione e ricerca nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, durante i tracciamenti di una tratta ferroviaria. Era il prologo dell’avvio delle attività industriali agli inizi del Novecento.

Il primo grande investitore nel 1908 fu l’avvocato Paolo Guinebertière, che fondò nel 1915 assieme ad altri azionisti francesi, la Société Anonyme des Mines de Cuivre de Sardaigne. Nel corso dei decenni successivi numerose furono le aziende che si avvicendarono nella gestione: Società Anonima Funtana Raminosa, Società Cogne Spa, Società Cuprifera Sarda, Egam e Samim. Ognuna di queste contribuì a suo modo all’apice e al declino del destino di Funtana Raminosa, che viene ricordata per essere stata provvista nel corso del tempo anche di un villaggio a bocca di miniera, che includeva tra i servizi un piccolo ospedale, uno spaccio, ed una scuola dedicata ai figli degli operai. Le testimonianze della lunga attività lavorativa emergono in ogni dove durante le visite guidate: spiccano l’imponente laveria e i gioielli della tecnica di un tempo, come il motore inventato dall’ingegner Franco Tosi che ancora oggi è possibile vedere in azione nella centrale dei compressori in cui veniva prodotta l’aria necessaria ad alimentare i vari cantieri, garantendo tra l’altro il funzionamento sia delle perforatrici in galleria che la movimentazione dei vagoni adibiti a trasporto materiale ancora visibili sul lato della montagna.
Emozionanti anche le visite nell’interno delle gallerie, dove mentre si notano i colori sgargianti che messi in evidenza dalle acque di scolo manifestano ancora oggi la presenza dei vari minerali, si susseguono i racconti di vita e di lavoro degli ex operai.

Nelle loro parole il luccichio vitale dell’ossido di rame, lascia spazio alle proteste operaie del 1987, quando una miniera lontana da tutto, da Cagliari, da Arbatax e dal mare, ma vicina al cuore della Sardegna, quella Barbagia in cui è inclusa, venne catapultata improvvisamente sotto i riflettori della cronaca televisiva quando Enzo Tortora in Portobello, diedo eco alla protesta in corso. A raccontare ogni aspetto della vita di miniera, inclusi i momenti di lotta operaia, sono i lavoratori di un tempo, oggi guide minerarie, come Antonio Venier, Gianni Angius e Nando Mazzuzzi.

 

Appendice: Lo sciopero dei minatori nel 1987 e «il manifesto»
«Facemmo uno sciopero deciso, incisivo ed in alcuni tratti anche aspro, mettendolo in atto principalmente qui a Funtana Raminosa, isolandoci nel sottosuolo e rimanendo per giorni rinchiusi all’interno di una galleria. Una situazione difficile da sostenere e che per giunta, comportava rischi potenziali notevoli, in quanto al termine del ribasso dove eravamo, vi era una casermetta che fungeva da magazzino per gli esplosivi usualmente impiegati durante il lavoro. Uno dei momenti più intensi fu quando l’8 di marzo, mogli, madri e fidanzate di noi scioperanti vennero a dare un forte atto di presenza. A testimoniare la lotta in corso, ricordo fra i vari giornalisti che giunsero, la presenza di un vostro giovane collega. Una persona briosa e piacevole. Rimase per diversi giorni, dialogando con tutti e intervistando sia me che altri minatori. Rimanemmo sorpresi dall’utilizzo del computer portatile che aveva con sé, un Commodore 64 che nessuno aveva mai visto: un mezzo tecnologico per l’epoca davvero sorprendente!» Così Antonio Venier rammenta la presenza in loco di Gianfranco Bangone, che dalle pagine del manifesto documentò con due lunghi articoli intitolati rispettivamente «In fondo alla Terra per 16 giorni» e «Nel pozzo di rame», datati 20 e 22 marzo 1987, la protesta degli operai: «Ricordo che il giornalista al termine dello sciopero, fece pervenire a noi membri del consiglio di fabbrica diverse copie omaggio del manifesto. Un gesto di grande gratitudine, un ricordo del vostro giornale per me molto caro».