Il cammino umano, intellettuale e morale che ha segnato la vita politica e gli studi di Angelo Del Boca, scomparso a Torino ieri l’altro, rappresentava di per sé un elemento problematico, conflittuale e culturalmente avanzato all’interno della sfera pubblica nazionale.
Il primo e più importante storico del colonialismo italiano, infatti, ha disegnato personalmente, insieme alla vasta minoranza che nutrì l’antifascismo e la Resistenza, la traiettoria storico-politica che tutto il Paese avrebbe dovuto compiere, e che non ha compiuto, all’indomani della caduta del regime di Mussolini e della fine della Seconda guerra mondiale.

Del Boca prese parte a quel «lungo viaggio attraverso il fascismo» che, già descritto nelle potenti e antiretoriche pagine consegnateci da Ruggero Zangrandi, portò le donne e gli uomini migliori del popolo italiano a combattere nelle fila partigiane dando corpo e anima ad una sovranità nuova che innervò i caratteri della democrazia costituzionale e repubblicana.
Costretto ad arruolarsi nella repubblica sociale italiana, Del Boca disertò le milizie collaborazioniste unendosi alla Resistenza nella 7a Brigata alpina della I Divisione Giustizia e Libertà “Piacenza” operando «La Scelta» (sarà questo il titolo del suo libro di memorie partigiane) che ne informerà l’intero percorso di vita tanto da storico quanto da cittadino legato alla difesa della democrazia e dei valori fondativi dell’antifascismo. Un impegno pubblico basato sulla ricerca e la conoscenza scientifica che ne ha fatto una voce costantemente fuori da quel coro conformista alimentato da stampa incompetente, studiosi più o meno accreditati ed opinione pubblica conservatrice che ha rappresentato il fascismo per decenni, oggi presso uditori sempre più larghi e inconsapevoli, con l’ossimoro della «dittatura bonaria» e gli italiani con il falso mito della «brava gente».

Una narrazione controfattuale della storia che non solo ha consentito l’impunità per i crimini compiuti ma ha anche permesso di evitare all’opinione pubblica nazionale ed al «cittadino comune» i conti con il passato rispetto al consenso dato al fascismo ed alle sue guerre imperialiste.
Un consenso che raggiunse il suo apice quando il 5 maggio 1936 Mussolini annunciò dal balcone di Piazza Venezia ad una folla plaudente l’ingresso delle truppe italiane, guidate da Pietro Badoglio, ad Addis Abeba ed il «ritorno dell’impero sui colli fatali di Roma», ottenuto (ma questo venne taciuto dal fascismo e dai governi della Repubblica fino a che gli studi di Del Boca non lo dimostrarono in modo inoppugnabile) con l’uso dei gas all’iprite sulle popolazioni civili.

Del Boca, in coerenza con la scelta resistenziale, ha accettato di pagare un prezzo alto per la sua libertà intellettuale (subendo attacchi, ostracismi e calunnie) prendendo parte non solo al dibattito storiografico in seno all’accademia ma al conflitto memoriale consumatosi in campo aperto nella nostra società durante gli anni post-bellici e della Guerra Fredda, quando all’Italia antifascista si opposero classi dirigenti e proprietarie artefici dell’ascesa al potere di Mussolini; ceti medi e burocrazie statali consenzienti al regime; apparati politici e militari intrisi di spirito anti-antifascista.

Mettendo in luce la natura criminale del colonialismo italiano Del Boca ha obbligato il Paese a guardare al suo passato recente strappando quel velo bugiardo con cui ancora oggi vengono promosse improbabili leggi memoriali che in Italia e in Europa equiparano nazismo e comunismo; Shoah e foibe; fascisti e antifascisti e che collocate al centro di una retorica celebrativa imperniata sul paradigma vittimistico ed autoassolutorio finiscono per eludere e cancellare dall’immaginario collettivo le responsabilità storiche della dittatura italiana, rendendo così ancor più pericoloso il contesto del presente caratterizzato da istanze regressive manifestatesi con particolare fragore nel corso delle tre crisi sistemiche ed economico-sociali susseguitesi dal 2007 in poi.

Gli studi di Del Boca ed il suo lascito ci insegnano che affrontare la questione dei crimini di guerra compiuti dal regio esercito italiano e dalle milizie fasciste non raffigura un esercizio formale e declamatorio ma al contrario contiene un elemento catartico fondamentale per il futuro della società rispetto ai grandi temi del nostro tempo: dal sottosviluppo cui abbiamo condannato le ex-colonie europee alle povertà estreme che alimentano le migrazioni; dalle guerre «esportatrici di democrazia» (come quella in Libia duramente contestata da Del Boca) fino allo sfruttamento privatistico e monopolista delle enormi risorse presenti nelle aree del continente africano nonché alla deflagrazione del terrorismo.
È per questo ultimo sentiero partigiano che il «tenente Angelo» (questo il suo nome di battaglia durante la Resistenza) ci ha condotti, lasciando un’eredità grande ed impegnativa.