La lettera di un carceriere della ‘ndrangheta è diventata «Sentiero della memoria». Sette chilometri a piedi in ricordo delle vittime innocenti uccise dai clan calabresi, fino a Pietra Cappa, monolite più alto d’Europa, nel Parco Nazionale dell’Aspromonte.

Bovalino, ottobre 2003. A casa Cartisano arriva una lettera battuta a macchina. «Sonu unu ricarcereri i vostru maritu». A scrivere, in uno sgrammaticato dialetto locrese, è uno degli sgherri che il 22 luglio del 1993 ha sequestrato Adolfo ’Lollò’ Cartisano. Si dichiara pentito e, rivolgendosi a Mimma, la moglie di Lollò – rapita insieme a lui e ritrovata la mattina dopo, legata a un albero e imbavagliata, lungo la strada che sale per San Luca – indica il luogo esatto dove avevano interrato il corpo di Adolfo.

Ex bomber dello Spezia e del Mazara del Vallo, fotografo innamorato della sua terra e di quella montagna crudele, soggetto preferito dei suoi scatti, di Lollò si conosce la data di nascita, 9 maggio 1936, ma non quella dell’omicidio. Per questo il giorno che è arrivata quella missiva, recapitata prima a Monsignor Bregantini, allora Vescovo di Locri-Gerace, dopo aver finalmente ritrovato il corpo grazie all’aiuto di Raffaele La Bella, poliziotto allora in forza a Nuclei antisequestri, Mimma e i figli, Deborah, Rocco e Antonio hanno trasformato quel drammatico 22 luglio, e quel sentiero, nel cammino della memoria in ricordo di Lollò.
Con una superficie di oltre 64 mila ettari, l’Aspromonte copre gran parte delle aree interne della provincia di Reggio Calabria. Per lo più spopolato, senza infrastrutture, tra boschi e monoliti, e piccoli agglomerati rurali isolati, è stato per tanti anni il carcere naturale della ‘ndrangheta che lì ha nascosto decine di persone, imponendo esosi riscatti alle famiglie. Dal 22 luglio del 2004, però, è diventato meta di pellegrinaggio di tanti giovani che, accompagnando i Cartisano e altri familiari delle vittime innocenti calabresi, si uniscono ai Sentieri della Memoria, immersi nella macchia mediterranea.

LA FRANA

Solo che quest’anno Mimma e i suoi figli sono rimasti di nuovo orfani sia di Lollò, sia di Pietra Cappa. Colpa di una frana peggiorata negli ultimi sei anni, ma soprattutto di chi non si è mai attivato per ripristinare la via, già insidiosa di suo in più punti. «Quella frana ha spazzato via il ponticello che collegava il fondo valle all’altro pezzo del tragitto», spiega Carlo Tansi, geologo ex responsabile della Protezione civile calabrese, neoconsigliere di minoranza con Klaus Davi al Comune di San Luca, che su quel sentiero ha effettuato diversi sopralluoghi. Per consentire la marcia si poteva provvedere un intervento tampone costruendo una passerella di legno nel punto più critico». Ma poi urge un intervento strutturale. «Bisogna asfaltare, costruire canali di scolo e cunette, per incanalare le acque piovane». Senza troppi giri di parole, Tansi si scaglia contro la Regione Calabria che «invece di adoperarsi per manutenere quel percorso, che può fungere anche da itinerario turistico, spreca un sacco di risorse e finora non ha mai stanziato i fondi necessari per portare mezzi e uomini lassù». Ce lo conferma l’ex Presidente dell’Ente Parco Aspromonte, Giuseppe Bombino, che più volte negli anni precedenti ha sollecitato la Regione. «Nel 2017, a ridosso della 14esima marcia per Lollò – precisa – avevo proposto un protocollo con l’azienda Calabria Verde, deputata alla forestazione e alle politiche per la montagna. E in una lettera indirizzata al Governatore Mario Oliverio chiedevo di installare temporaneamente un cantiere montano per risolvere le più evidenti sconnessioni del tracciato. Ma non ho mai ricevuto risposte». Quest’anno si era attivato anche il neo sindaco di San Luca, Bruno Bartolo, che aveva trovato circa 3mila euro dal bilancio comunale, «ma l’azienda che avevamo coinvolto si è tirata indietro per l’impossibilità di salire con i cingolati, perché la strada che sale su è molto stretta».
Costretti, dunque, per la prima volta in 16 anni a cancellare la camminata, i Cartisano denunciano l’inerzia delle istituzioni. «La Calabria deve valorizzare e non mortificare un luogo che negli anni è stato percorso da centinaia di persone – denuncia la figlia di Lollò, referente del Coordinamento Libera Locride – quest’anno per la prima volta non andremo a salutare mio padre».

LIBERA

Protesta anche don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che per tanti anni ha camminato con quelle famiglie. «Mi associo con forza a chi chiede il recupero del sentiero. La memoria richiede continua ’manutenzione’, quella che non ha protetto il sentiero di Pietra Cappa da frane e smottamenti che hanno privato i famigliari delle vittime e tanti calabresi onesti di un momento di comunione e condivisione umana e spirituale». Ma l’Aspromonte, candidato tuttora a entrare nei geo-parchi Unesco, è la «terra degli ultimi» come racconta Mimmo Calopresti nel suo nuovo film in uscita a ottobre. Lassù, «tra rocce secolari e letti di fiumare», come canta Brunori Sas, sulle cime esaltate da Corrado Alvaro, tutto resta fermo. Come se la montagna fosse stata sequestrata a sua volta, insieme a Lollò, dalla ‘ndrangheta.