Negli stessi giorni in cui il premier ungherese Viktor Orbán dichiarava guerra alla stella rossa dell’Heineken (e ad altri simboli riconducibili a comunismo e nazismo) l’Ungheria firmava l’adesione alla banca di investimenti cinese, appoggiando dunque il piano globale della Cina che di stelle sulla bandiera, per quanto gialle ma su sfondo rosso, ne ha addirittura cinque. Ed è guidata da un partito comunista.

La spirale del sovranismo, a braccetto con l’anticomunismo e il protezionismo economico che ne discende, è rappresentata plasticamente: il populismo come risposta interna al capitale, attraverso lo spostamento della competitività liberista sul piano nazionale.

La scelta di Orbán riguarda la Heineken, ma non altri brand che ugualmente utilizzano la stella rossa. Ad esempio la San Pellegrino o le scarpe Converse. È che queste aziende non hanno aizzato, al contrario dell’azienda olandese, un sentimento patriottico capace di incanalare anche la difesa di una produzione «nazionale». Tempo fa Heineken ha denunciato un produttore di birra in Transilvania: un audace imprenditore magiaro che ha recuperato un marchio storico della birra seclera, producendola in proprio.

Solo che il nome del marchio era lo stesso usato da Heineken, che tempo addietro aveva acquistato una fabbrica di birra proprio in quelle zone. Il luppolo dell’imprenditore magiaro è diventato ben presto noto anche in Ungheria, dove ha avuto un ottimo successo, accompagnato dal sentimento patriottico e di difesa della minoranza ungherese in Romania dalle unghiacce della multinazionale globale. Da qui la polemica con Heineken che ha già annunciato i previsti ricorsi.

Ma il gioco mediatico-politico di Orbán è completo: l’orgoglio nazionale, popolare, contro la multinazionale, contro l’establishment; un prospetto ideologico ormai consueto, con una spruzzata di anti comunismo come se la stella rossa e la svastica rappresentassero due facce della stessa medaglia.

Poco importa poi che l’Ungheria abbia sottoscritto la propria partecipazione alla banca cinese, cercando di ritagliarsi uno spazietto nel progetto globale della Cina (su cui una storica «stella rossa» ha vegliato per parecchio tempo). E nessuno fiaterà, c’è da credere, se mai Xi Jinping, il presidente cinese, visiterà in futuro l’Ungheria, con il seguito del suo partito comunista, la falce, il martello e le sue orgogliose cinque stelle.