Le edizioni Ca’ Foscari hanno dato alle stampe il prezioso saggio della studiosa Anna Di Qual dedicato al rapporto tra il grande storico inglese Hobsbawm e il più importante partito comunista dell’Europa Occidentale, il Pci. Eric J. Hobsbawm tra marxismo britannico e comunismo italiano è il risultato di una ricerca estremamente dettagliata, documentata e articolata che restituisce al lettore italiano interessato un aspetto della biografia dello storico marxista finora rimasto decisamente inesplorato. Il saggio, costruito su una disamina puntuale di fonti eterogenee, attraversa le diverse fasi dell’interesse di Hobsbawm per le vicende politiche del Pci, al quale fu legato anche da relazioni personali con alcuni dei suoi esponenti principali (tra gli altri Renato Zangheri e Giorgio Napolitano, di cui fu intervistatore in un celebre libro laterziano), distaccandosi dall’approccio storiografico tradizionale della biografia.

DI QUAL SI ISPIRA all’analisi di rete (network analysis), ovvero propone una narrazione dell’interesse reciproco che esisteva tra lo storico e il Pci alla luce degli sviluppi politici del Secolo Breve. Nelle pagine del saggio trova ampio riscontro l’influenza che ha esercitato il pensiero gramsciano sulla pratica storica di Hobsbawm aprendogli scenari politico-sociali che hanno condotto alla realizzazione di celebri ricerche sui soggetti subalterni della società europea-occidentale. Così come viene evidenziato il rapporto privilegiato con l’editore Einaudi, che pubblicò i fondamentali saggi che hanno ribaltato il metodo di ricerca della storia sociale, e gli affidò la direzione dell’opera complessiva dedicata alla Storia del marxismo.

Si delinea, inoltre, anche l’interesse di Hobsbawm per l’Eurocomunismo di matrice berlingueriana, descritto, in modo assai sagace e puntuale, come sviluppo tanto della politica dei Fronti Popolari sorti in Europa per contrastare l’ascesa del Fascismo e del Nazismo, quanto come elemento di continuità teorica e politica tra la resistenza antifascista e le scelte politiche della seconda metà del Novecento.

Le tre sezioni in cui è articolato il saggio ripercorrono il rapporto dello storico con il comunismo italiano. Di estremo interesse sono, ad esempio, le pagine relative al ’56 e al ’68. Rispetto alla prudenza con cui sia il Cpgb che il Pci reagirono all’invasione sovietica dell’Ungheria, viene evidenziata la posizione simpatetica assunta rispetto alle vittime della repressione della Primavera praghese. L’intervento del Patto di Varsavia contro il «socialismo dal volto umano» di Dubcek, così come scrive Di Qual, fu uno spartiacque politico che diede origine all’attenzione di Hobsbawn verso la proposta dell’Eurocomunismo di Berlinguer.

Anche la centralità politica che il Pci diede al golpe cileno contro Allende del settembre del ’73 fu per lo storico uno dei segnali più interessanti per le sorti del comunismo occidentale, e, come scrive Di Qual, uno dei punti di svolta delle sorti del movimento operaio e democratico europeo attraverso la controversa formulazione dell’idea di «compromesso storico», intesa come evoluzione del fronte antifascista e popolare degli anni Trenta.

IN UN PERIODO in cui la complessità storica sembra essere considerata un ostacolo al discorso pubblico, Di Qual ci restituisce la densità necessaria al mestiere di storico. La storica ci fa così scoprire anche un ulteriore aspetto dell’attività militante di Hobsbawm, quella relativa alla passione musicale raccontata nel libro Il mondo del jazz (The jazz scene, Penguin 1959 – tradotto in Italia dagli Editori Riuniti nel 1963), una mirabile storia sociale del genere musicale in cui i confini disciplinari tra storia e sociologia furono coraggiosamente decostruiti. Un testo che fu proposto ad Einaudi da Raniero Panzieri per la collana «Nuova Società», chiusa dopo le polemiche relative alla mancata pubblicazione de L’immigrazione meridionale a Torino di Goffredo Fofi.
Nonostante le difficoltà di diffusione, aggirabili tuttavia grazie alla libera scaricabilità del libro dal sito dell’editore, il saggio di Anna Di Qual, merita di essere letto attentamente e con passione, anche per la sua capacità di restituirci un Hobsbawn militante, uno storico capace di proporsi come elemento sfuggente a ogni rigidità accademica.