Non capita a tutti, ma ad alcuni sì: di avere delle amiche, degli amici, gli stessi da quando si è ragazzi, da prima di diventare ciò che si è. Incontrarli ogni anno, ritualmente, ritrovare con loro la facilità del tempo in cui ci si è conosciuti: quello della fanciullezza, l’adolescenza. Al protagonista del nuovo romanzo di Valentina Di Cesare è successo: la storia è proprio quella di un gruppo di amici, delle loro traiettorie di vita.
L’anno che Bartolo decise di morire (Arkadia, pp. 106, euro 13), ha al suo centro la figura del personaggio che dà il titolo al romanzo: «Bartolo era quello di cui nel gruppo si sentiva sia la mancanza sia la presenza, lui era quello speciale. Ognuno lo sapeva e non era necessario dirselo. Aveva un modo tutto suo, diverso e singolare di comportarsi con gli altri, era raro che non portasse la parola giusta, il senso della misura e della rettitudine, e nei fatti il coraggio, la forza, la dignità».

LA CAPACITÀ di Bartolo di fare da perno in questo gruppo di 5 «ragazzoni» risiede nella sua abilità di stare ad ascoltarli o forse più semplicemente nella sua scelta di restare fermo, come una pietra a cui si può girare intorno, come una kasbah. Giovanni, Vito, Riccardo, Lucio, nei piccoli o grandi travagli delle loro vite quotidiane ciascuno si rivolge a lui: riguardo matrimoni sbagliati, amori perduti, questioni con la giustizia, sapendo di trovarlo allo stesso posto, perché lui ha deciso di non muoversi.
L’abilità di Valentina Di Cesare, il segreto di questo romanzo, sta nel fatto che pur essendo incentrato sulla figura di Bartolo, proprio di lui che sa tutto di tutti, perché glielo raccontano, non sappiamo niente.
Non conosciamo il nome della città in cui ha scelto di vivere, il percorso che lo ha condotto a svolgere il suo ruolo nel museo del posto, non sappiamo perché la sua storia con Elisa non abbia funzionato, anche se – dall’unico accenno che ne abbiamo – sembra che i due ci abbiano provato per anni.

E ANCHE QUESTO è vero, che delle persone che si dedicano troppo agli altri non si conosce la verità, al punto che ci si può domandare se tutta quell’attenzione deviata sul prossimo non sia soprattutto un tentativo di distoglierla da se stessi. Le vite cambiano, però, anche quando si è tanto resistenti al mutamento come Bartolo e se c’è una cosa che non lascia niente come prima è la morte. Così, paradossalmente, Bartolo, che la morte l’ha assaporata per anni: quella del desiderio, della curiosità, l’assenza del rischio, della sfida, solo nel momento in cui essa si manifesta in tutta la sua invincibile potenza, farà un passo e questo sarà, come sua consuetudine, quello decisivo.