Ci è voluta la morte di Philip Seymour Hoffman per fare arrivare nelle sale in Italia, sei anni dopo la prima nel concorso di Cannes e l’uscita americana, Synecdoche, New York, l’ambiziosissimo esordio alla regia dello sceneggiatore Charlie Kaufman. Autore di complesse geografie escheriane per Spike Jonze (Essere John Malcovich e Il ladro di orchidee) e Michel Gondry (Human Nature e Se mi lasci ti cancello), e del più strano dei film diretti da George Clooney (Confessioni di una mente pericolosa), Kaufman sceglie per il suo primo film da regista, un quadro ancora più complesso. E se in Essere John Malcovich e Il ladro di orchidee aveva esplorato tragicomicamente le fluttuazioni dell’identità, in Synecdoche, NY , alza la posta ancora di più, facendola quasi crollare come un castello di carte.

L’idea di un castello ci sta, visto che il mood di questo film, intensamente appassionato ma girato come attraverso il filtro di un occhio distante, «neutrale», è molto kafkiano.In realtà, il riferimento letterario esplicito nella storia è un mostro sacro del teatro americano, Morte di un commesso viaggiatore, di Arthur Miller. È quella infatti la piéce che Caten Cotard (Hoffman, che – da solo – genera tutto il calore del film), direttore di un piccolo teatro a Nord di New York, sta cercando di mettere in scena, mentre il suo matrimonio va a pezzi e la sua salute fa altrettanto, seguita a a breve dalle tubature di casa. Le cose cominciano a diventare ancora più strane quando sua moglie Olive (Katherine Keener), che fa la pittrice, parte con la figlia di quattro anni per Berlino, dove sta per essere inaugurata una sua mostra.

Forse disperato per l’abbandono (in breve non si capisce più da quanto sono via e dove sono finite le due) o disperato e basta, Caten si lascia sedurre prima da Samantha Morton (che ha i capelli rossi come le fiamme che le divorano la casa) e poi dalla sua attrice, interpretata da Michelle Williams. La situazione si ricompone per un attimo quando vince l’ambita borsa di studio MacArthur riservata ai «geni», con i proventi della quale inizia a mettere in piedi, in una fabbrica in disuso, uno spettacolo teatrale che rifletta la sua vita.

Solo che invece di chiarezza, la nebbia si fa ancora più fitta, grazie anche all’arrivo di un doppio (l’attore Tom Noonan) che si impadronisce dell’identità di Caten, di una delle sue amanti e prende il controllo dello spettacolo.
Come Caten, che tenta invano di riordinare la sua vita attraverso la piéce, anche per chi guarda è impossibile stare dietro a tutto – Synecdoche, Ny (il titolo è un gioco di parole tra il termine «sineddoche» e Schencdaty, una cittadina dello stato di New York) è un puzzle irrisolvibile. E per gustare al meglio questo oggetto cerebralissimo è necessaria una buona dose di abbandono. Tristezza, solitudine, desiderio, il processo della creazione artistica…l’inafferrabilità di un senso (della vita) sono temi che Kaufman aveva esplorato nelle sue sceneggiature precedenti. E che tornano intensissimi anche in questo film prezioso e sofferente, la cui bellezza fa rimpiangere non solo la scomparsa di Hoffman ma il fatto che Charlie Kaufman non lavori di più.