Si intitola Ferragosto ed altri guai la seconda parte di un piccolo libro scritto da Giuseppe Mazzotti (detto Bepi) e illustrato da Sante Cancian, La montagna presa in giro (1931). Con ironia e un guizzo di lungimiranza profetica, lo scrittore, critico d’arte e fotografo amateur, promotore del paesaggio trevigiano e appassionato conoscitore dell’alta quota dal Cervino alla Valle d’Aosta, nel consacrare e celebrare la montagna, patrimonio della collettività e tappa di un percorso (in un certo senso) esistenziale in cui l’uomo è in simbiosi con la natura, non può tuttavia non mettere in guardia il lettore.

Ma lo fa con il sorriso sulle labbra ironizzando non sulla montagna, quanto piuttosto sui suoi frequentatori modaioli, più attenti ai codici dell’apparire che alla magnificenza dei luoghi. Rischi che – peraltro – si continuano a correre anche al giorno d’oggi. Proprio con questa pubblicazione che ai suoi tempi ebbe grande successo, tra il serio e il faceto entriamo in punta di piedi nelle diverse sezioni della mostra Il Racconto della Montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento, promossa dal Comune di Conegliano e da Civita Tre Venezie con la collaborazione della sezione del CAI di Conegliano e della Società Alpina delle Giulie di Trieste, curata da Giandomenico Romanelli e Franca Lugato nelle sale del rinascimentale Palazzo Sarcinelli a Conegliano (fino all’8 dicembre 2020).

Qui le prospettive d’indagine e riflessione intorno al tema della montagna, non soltanto nella dialettica paesaggio/sport, sono animate da stimolanti contributi che vanno oltre la rappresentazione pittorica annunciata nel titolo stesso dell’esposizione. Un percorso inedito in cui la letteratura (tra i volumi è presente anche Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia scritto nel 1876 dall’abate Antonio Stoppani che adotta la finzione letteraria delle«serate», incontri che si svolgono quotidianamente davanti al camino in presenza dei suoi nipotini che ascoltano attenti i suoi racconti, frutto anche dell’esperienza personale che il paleontologo e naturalista fece durante le escursioni nelle Alpi Carniche e sulle Dolomiti) s’intreccia alla cartografia, alla pittura e alla grafica dei manifesti pubblicitari (una accurata selezione dei circa 25mila pezzi della Collezione Salce di Treviso) per intercettare la storia stessa di una passione.
Si parla di resistenza e coraggio per la pioniera dell’alpinismo dolomitico e «collezionista di cime» Irene Pigatti (1859-1937), impavida conquistatrice di successi, a partire dall’ascensione al Monte Cristallo (1886) fino al monte Antelao (1893): a lei nel 2010 le Poste Italiane in collaborazione con il CAI hanno dedicato un francobollo. Non meno interessante è la figura di un versatile interprete dell’alpinismo, il triestino Napoleone Cozzi (1867-1916), precursore dell’arrampicata e guida carismatica del gruppo Squadra Volante di cui ha documentato le avventure cogliendo la freschezza del momento nei suoi taccuini dipinti ad acquarello, conservati nella collezione della Società Alpina delle Giulie di Trieste.

La pittura offre, naturalmente, molti altri punti di vista attraversando epoche e stili per mostrare quel «senso della montagna» che è il leitmotiv della mostra. Se gli olii di Gabriel Jurki sono permeati di sospensione, complice anche il manto bianco della neve in Inverno (1925), l’aspetto più viscerale viene esplorato da Ugo Flumiani nelle cinque opere dedicate alle Grotte di San Canziano (1932-33), mentre i riflessi del sorgere del sole sulle rocce sono un inno alla vita per Traiano Chitarin in Giuliva alba dal Grappa – Luce (1924). Romanticismo, realismo e simbolismo sono tra le correnti più influenti della pittura come appare evidente nelle tele di Edward Theodore Compton, Ugo Flumiani, Carlo Costantino Tagliabue, Francesco Sartorelli, Giovanni Salviati, ma il riconoscimento di «inventore della veduta di montagna» spetta a Guglielmo Ciardi che portava i suoi allievi (tra loro anche due dei suoi quattro figli, Beppe e Emma) sulle vette, cavalletto in spalla e tavolozza in mano per dipingere en plein air, respirando a pieni polmoni la bellezza mozzafiato della natura nell’hic et nunc.