Il padre di Alain Badiou era un matematico e certamente anche questo fatto familiare ha influito sugli interessi per la matematica da parte del figlio, oggi conosciuto soprattutto come filosofo politico. Nella sua prolifica e variegata vocazione alla scrittura e al pensiero solo a partire da un certo momento però la matematica ha costituito per Badiou un elemento cruciale.
E ciò è accaduto molto tempo dopo quello che si può considerare il suo primo scritto in questa disciplina: Il concetto di modello (riedito nel 2007 e tradotto in italiano nel 2011).

NEL FRATTEMPO Badiou, che aveva scritto anche romanzi e opere teatrali, ha continuato a dedicarsi alla teoria politica in senso stretto. Pur se a rilascio ritardato, gli effetti di quel primo scritto matematico si sono fatti sentire con la pubblicazione del libro a tutt’oggi forse il più importante del pensatore francese: L’essere e l’evento (1988). Libro dopo il quale Badiou è nuovamente intervenuto sulla matematica e sul suo rapporto con l’ontologia e la teoria politica e sempre per cercare di precisare meglio quello che è diventato il motivo trainante della sua ricerca filosofica e cioè il concetto di evento.

DISTINTE NELLE MODALITÀ di procedere e tuttavia correlate nell’oggetto che determinano, la matematica e il pensiero, secondo Badiou, hanno viaggiato insieme sin dalle origini della filosofia occidentale. Nel suo ultimo libro-intervista Elogio delle matematiche (a cura di Gilles Haéri, edizione italiana a cura di Marcello Losito, Mimesis, pp. 86, euro 10), è proprio il modo logico-matematico di ragionare che a partire dal poema di Parmenide, secondo Badiou, ha definito per la prima volta un discorso che si è emancipato da quello in cui la verità dipendeva dalla narrazione e dalla mitologia. Cardine di questa emancipazione dal mito sarebbe stato per Badiou l’uso della «dimostrazione per assurdo».
Un procedimento tipicamente matematico che «reggendosi da sé» costringe per la via negativa del dover-non-essere ad ammettere che le cose devono-essere soltanto in un senso e non in altri.

LA VIA che Badiou crede rinvenire in Parmenide e che lui stesso sviluppa soprattutto attraverso la teoria degli insiemi per definire l’idea di evento (evento non più soltanto matematico, ma anche storico e politico) è dunque la via della negazione e dell’assurdo, lungo la quale l’essere viene forzato a corrispondere al dover-essere e la verità al non-falso. Coerentemente a questo percorso forzoso, Badiou costringe sé stesso ad ammettere il niente e l’insieme vuoto. Secondo lui infatti «l’intera gerarchia dei multipli si costruisce sul niente, nel senso in cui è sufficiente che venga posta l’esistenza di un insieme vuoto». Ma sia il niente sia l’insieme vuoto, si potrebbe rilevare, non si accordano molto né con la teoria dell’«essere multiplo» dello stesso Badiou, né tantomeno con l’ontologia di Parmenide.

AL DI LÀ delle pur cruciali implicazioni ontologiche ed epistemologiche – e per Badiou sempre anche politiche – che comporta il percorrere la via negativa del non-essere per arrivare a determinare un evento come qualcosa che dev’essere, la posizione di Badiou sulla matematica è una delle pochissime che tenta ambiziosamente e coraggiosamente di sottrarre quest’antica e variegata disciplina dalla sua riduzione a mera tecnica di supporto per l’odierna ingegneria dei dispositivi.
Da Badiou la matematica è restituita al sapere fondativo che essa stessa ha avuto in molte tradizioni culturali e non soltanto in quella occidentale.

L’AUSPICIO formulato da Badiou in questo suo libro è quello per cui la matematica possa tornare a essere parte integrante di tutto il sapere e non più soltanto una disciplina quasi esoterica per eccentrici addetti ai lavori oppure misteriosa presenza tanto pervasiva quanto dissimulata, come invece avviene nei tanti congegni e applicazioni che quotidianamente maneggiamo come bacchette magiche.