Non è stata presa in considerazione da molti studenti, a quanto pare, la traccia della prima prova della maturità 2017 su «disastri e ricostruzioni» : pare che soltanto un 5,2% dei maturandi l’abbia preferita alle altre. Peggio del cosiddetto «saggio storico politico», la ricostruzione appunto, è andata solo la traccia del saggio «storico economico» sulle storture del miracolo italiano degli anni ’50-’60, che avrebbe raccolto – sempre secondo il sito, di solito ben informato, studenti.it – un ancor più misero 1,9% delle scelte dei candidati.

Si trattava in effetti di argomenti – la politica e la critica del modello di sviluppo industriale adottato nel dopoguerra – che per lo più i docenti tendono a evitare come se non dovessero formare pensiero critico, argomenti da carta stampata, in genere poco attraente per la generazione spoliticizzata che sta uscendo ora dai licei. Infatti è dal mondo della carta stampata che vengono i testi allegati, il primo dei quali, quello che inquadra il tema, è dello scrittore e giornalista Giorgio Boatti, che dalla riedificazione del monastero di Montecassino, distrutto dalle bombe del ’44, si aggancia al problema delle macerie del terremoto dell’agosto 2016 ad Amatrice e della velocità della ricostruzione.

Lei, Boatti, l’ha letta la traccia con la citazione sua?

Sì, certo.

E secondo lei è della dignità o della velocità della ricostruzione che parla?

L’articolo riportato è del 31 ottobre scorso e nelle parti tagliate richiamo non solo la vicenda del monastero di Montecassino ma le tante altre sfide per la ricostruzione che il nostro Paese ha dovuto affrontare, un modo per affrontare il tema del terremoto contestualizzandolo e cercando di far capire che tante volte ci siamo trovati di fronte a distruzioni immani, abbiamo visto uscire donne e bambini dalle macerie come topi che scappano, ma non è l’apocalisse. Anche a Cassino, dove un simbolo della civiltà come quel monastero fu scientemente distrutto, raso al suolo, l’Italia di allora, devastata dalla guerra appena finita, riuscì a ricostruire tutto in dieci anni.

Lei parla di «tempestività che oggi sembra incredibile» e invece sono dieci anni? Sembra un’era geologica..a un anno di distanza non si fa che parlare di ritardi..

Mica tanto geologica, non mi aspetto che per ricostruire ad Accumoli o a Amatrice ci si metta di meno oggi. Spero di no, certo, ma nel frattempo invito ad avere una migliore percezione della sfida, che difficile, faticosa, ma deve andare al di là dell’emozione del momento e della rimozione dopo. Quel terremoto deve rimanere come una spina nel cuore, anche morfologicamente visto che ha colpito la spina dorsale appenninica del Paese. Ci sono tutte le potenzialità e le abilità necessarie per una ricostruzione di qualità. è lo stesso tema in fondo del libro La terra trema che ho scritto sul terremoto di Messina del 1908. Lì fu presa una scorciatoia di fronte alla figura barbina dei soccorsi inglesi e russi arrivati prima dei nostri e il sentimento di revanche ci portò dritti alla guerra coloniale in Libia. Fortunatamente non sono più quei tempi lì.

Lei crede?

Sì, sono stato di recente in Valnerina per un reportage e ho visto a Norcia più generazioni che non demordono e nonostante le difficoltà di uno Stato lento, burocratico e parolaio, nonostante la difficoltà di ritrovarsi baraccati, senza casa, non mollano il proprio territorio.

La resilienza delle comunità come parte del patrimonio culturale c’è ancora?

È l’approccio e il cammino che si deve prendere, non basta l’evocazione emotiva dei problemi. Ma i giornali e i media non aiutano. Eppure l’azione vituosa è virale, come le azioni per le aree rurali interne seguiti da Fabrizio Barca e attivati da tre anni, perché mette in circolo nuove modalità per affrontare punti di sofferenza del territorio in modo inclusivo. Serve una cultura e sensibilità che, certo, è ancora lontana dall’affermarsi ma sono ottimista.