L’appello alla politica di Bonaga e Arden, con il fitto dibattito che lo sta accompagnando, i mi sembra molto generoso. Come ogni appello da “aux armes citoyens” a “aux urnes citoyens” presuppone un punto di rottura e una urgenza inappellabile. Eppure è proprio la natura di questa urgenza che oggi è la chiave di ogni nuovo appello. Per capire dove è finita la politica, quando Zingaretti ha aperto il suo corso appellandosi a Greta che chiedeva il 100% di fine delle emissioni, lui ha optato immediatamente per il 10% !

Adesso Letta si affretta a definire il suo corso ovviamente green e Sala si butta nelle braccia dei Verdi Europei (come per salvarsi da alcuni compitini che il suo incarico di sindaco uscente potrebbe vedere assolti). Nell’insieme l’isocrazia invocata da Bonaga e Ardeni si rivolge a un tipo di cittadino che ha visto ridurre i suoi spazi pubblici e di partecipazione come non mai negli ultimi vent’anni.

L’impero del digitale, l’impero incontrastato di chi ci ha ridotti a suoi prodotti si è accompagnato con il soffocamento urbanistico e automobilistico, in un paese in cui l’Eni si permette ancora di investire su fonti non rinnovabili e persegue la perdente politica dei fossili (abbandonata perfino da Usa e da Emirati), ma si sa loro sanno solo fare buchi e tubi. A questo si accompagna il mai rinnovato diritto alla cittadinanza per chi nasce nel bel paese e un capitalismo che puzza di feudalesimo e di mafia.

Se questa è la condizione in cui ci troviamo, l’emergenza è mai come adesso l’allargamento del campo del diritto a nuovi soggetti che spingono per essere rappresentati. Sono i soggetti nuovi che “abitano” il paese e sono le risorse che lo rendono abitabile. Quindi non solo figli della immigrazione degli ultimi ’50 ma anche acque, mari, pesci, uccelli, alberi, aria, frutti della terra.

Ha ragione Bifo quando dice che isocrazia è l’allargamento al vivente e non solo al politico. Se vogliamo rovesciare la biopolitica che ci vuole asserviti agli esperti di malattie e di vaccini, allora è dal vivente che dobbiamo partire. I diritti dei luoghi a non essere fecondati da pesticidi e bitumi, i diritti delle acque a essere sottratti alle fogne industriali, i diritti delle città a tornare a essere luoghi che non portino la morte con l’aria.

Questo richiede, come richiamano i nuovi giuristi, a una politica di adozione del vivente e dei luoghi da parte degli abitanti. La natura astratta e nel caso peggiore digitale della partecipazione sottrae la democrazia alla sua natura vera, del faccia a faccia che unico garantisce la protezione del vivente. Che va contrapposta alla protezione astratta del sovranismo e del leghismo localista, imbarazzanti dal punto di vista della distanza dal reale.
Non so se nella tradizione della sinistra esista una tale vocazione, che è invece storia italiana del senso civico, ma anche storia più profonda di diverse ontologie, del farsi definire da bioregioni, vocazioni montanare o di pianure, di costa o di isola.

L’isocrazia deve condurre a una nuova politica geografica e nascere da essa. E’ successo in un momento magico in alcuni posti del mondo, per altro non solo del mondo “arretrato” – è successo ad esempio in Vietnam, ma anche nella California degli anni ’80. Il problema è che la politica nel suo insieme puzza di “bureau” e non di filari di viti, né di tornii meccanici. L’Italia possiede ancora però un “senso dei luoghi” da cui fare ripartire la rappresentanza. E i politici preparati a “sentire” i luoghi e il vivente in Italia sono davvero pochissimi. Tant’è vero che gli insulti a Greta vengono più da sinistra e dal mondo intellettuale, completamente ignorante di ambiente, con buona pace dell’amico Agamben. Forse a questi possiamo chiedere almeno di ricordare che la politica è la pratica della convivenza in uno stesso luogo e la dialettica tra l’anonimità rispettosa e l’amicizia calorosa.

Se ci salviamo dal digitale (e dall’intelligenza artificiale! Strano che nessuno abbia ripreso la polemica tra Elon Musk e Mark Zuckenberg sull’A.I come prossima minaccia dell’umanità) come ci stiamo salvando, perché la pandemia ne ha distrutto la mitologia, allora forse possiamo sperare che una politica del vivente ci porti in una zona non di salvezza, perché ormai è tardi, ma almeno su una buona grande zattera.