Ire, accudire
In The father (Florian Zeller, 2020) la figlia Anne (Olivia Coleman) affronta la cura di un padre (Anthony Hopkins) con l’Alzheimer nella complessità di scegliere se sacrificare la sua vita votandola alla crudele malattia paterna o volare a Parigi con un nuovo amore e affidare il decorso della malattia a qualcuno con gli strumenti e le terapie adatte per seguirlo (lasciandolo in un istituto, sbalestrato, confuso, disorientato – che sono i sintomi più forti del declino cerebrale acceso dalla patologia).
In Un affare di famiglia (Kore’eda Hirokazu, 2018) una anomala famiglia molto povera – che occupa una baracca in 5 – trova per caso una bambina piangente su un terrazzino e la accoglie nel tugurio, nella fame, nella divisione di quel poco che ha: è un rapimento involontario che accende un meccanismo affettivo in cui si cerca di scoprire quale sia l’amore più resistente e efficace, quello genitoriale o quello di chi vuole amare un piccolo come un figlio.
Nel famoso racconto di Francis Scott Fitzgerald Lo strano caso di Benjamin Button (1922) la vita va alla rovescia: il protagonista nasce coi capelli radi grigi, un viso pieno di grinze di vissuto, non di ristrettezza dello spazio uterino, dalle ossa rotte, pressoché cieco, cresce perdendo debolezza e acquistando vigore fino a morir neonato, senza la capacità di parlare ma solo di piangere, richiedente accudimento da parte di terzi. Il senso della parabola è evidente: neonato o morente l’uomo è sempre bisognoso.
Un amico per mesi – nei giorni di libertà del badante – ha lavato, vestito, imboccato il padre morente perché era l’unico che si sentiva di farlo, tra i 4 fratelli. Per lui è stato uno dei momenti più intensi del loro rapporto: un ricordo che gli scalda il cuore ora che ricorda il padre che se n’è andato.