Le elezioni presidenziali si terranno solo il 24 febbraio, ma in Senegal i toni della campagna elettorale, ormai permanente, sono già molto accesi. Il presidente uscente Macky Sall sta giocando su tutti i fronti possibili le proprie chance di conquistare un secondo mandato.

IN ORDINE SPARSO, Sall ha accelerato la consegna di tutte le infrastrutture desiderate dalle varie potenti confrerié musulmane (l’autostrada Dakar Touba aperta pochi giorni prima della Gran Magal – il rituale pellegrinaggio dei Mouridi – ne è la prova più lampante), modificato in tempi record la legge elettorale, favorito l’esclusione del suo competitor più pericoloso, Khalifa Sall, ex sindaco di Dakar (agli arresti per accuse di illeciti finanziari) e costruito ad hoc una campagna per spezzettare l’opposizione, inglobando diversi leader politici di partiti più o meno minori nell’Alliance pour la République Apr (Apr), il partito al potere.

Poco importa se le nuove carte elettroniche elettorali non sono state ancora distribuite su tutto il territorio nazionale (esponenti della Commissione elettorale nazionale autonoma, in forma anonima, hanno fatto trapelare che non si riuscirà mai a consegnarle in tempo) e se con l’introduzione del nuovo codice elettorale a oggi non è ancora chiaro quali partiti o coalizioni di opposizione potranno effettivamente partecipare.

NONOSTANTE TUTTO, il volto del presidente Macky Sall, soprannominato da sempre Niangal (il severo) perché appare sempre serio serio in ogni apparizione pubblica, resta più preoccupato che mai. Per avere la garanzia di essere rieletto deve assolutamente vincere al primo turno, scongiurando un eventuale ballottaggio in cui tutta l’opposizione potrebbe schierarsi in massa con il suo avversario, chiunque esso sia.

A oggi l’opposizione non appare molto in forma. Sul fronte politico tutti i principali partiti tradizionali stanno attraversando crisi diverse: il Parti démocratique sénégalais (Pds) di Abdoulaye Wade (presidente della Repubblica prima di Sall) è tuttora allo sbando, stretto tra il diktat del grande vecchio di candidare a forza il figlio Karim, anche se i trascorsi penali glielo impedirebbero, e un’ala sempre più ampia di dirigenti che vorrebbero tanto voltare pagina e puntare su un nuovo candidato, lontano dalla famiglia Wade.

Idrissa Seck, ex sindaco di Thies, la seconda città del paese, e il suo partito Rewmi («Paese» in wolof, la lingua più parlata) appaiono un’opzione logora e sbiadita, ammalata di quell’opportunismo politico che l’ha mosso negli anni da una parte all’altra dello scacchiere delle alleanze a corto respiro (prima con Wade, poi con Macky Sall; dal 2013 di nuovo all’opposizione).

IN QUESTO PANORAMA spicca facilmente Ousmane Sonko, candidato del partito Patriotes du Sénégal pour le Travail, l’Ethique et la Fraternité, meglio noto come Pastef les patriotes, nato recentemente, nel 2014, con una campagna molto attiva sui social fatta da dichiarazioni tranchant. Un passato come Ispettore principale dell’Ufficio delle imposte e Verificatore fiscale incaricato nel settore immobiliare, con fama di essere intransigente e corretto è stato radiato nel 2016 dalla Direzione generale delle Imposte con decreto presidenziale di Macky Sall per «indiscrezione professionale». L’episodio, a lungo alla ribalta sui media, è stato il miglior trampolino di lancio per lui. Molti giovani, diversi intellettuali e alcune categorie professionali hanno già ventilato il loro supporto incondizionato a Sonko, perdonandogli anche alcune dichiarazioni considerate irrispettose ed esagerate da queste parti, tipo «tutti i precedenti presidenti sono degli imbecilli».

IL FRONTE DELLA SOCIETÀ CIVILE (associazioni, movimenti formali e informali, giovani ecc.), i veri protagonisti delle scorse elezioni presidenziali, nel 2012, si è nel tempo appannato. Diversi protagonisti sono stati cooptati nell’Apr o nei partiti dell’opposizione, mentre i più intransigenti promettono di animare una carovana itinerante per tutto il paese, chiamata in modo un po’ didascalico ma efficace «Il Senegal va male», per denunciare tutte le promesse non mantenute e le urgenze drammatiche che restano da risolvere. Ovviamente l’Apr ha già annunciato la sua contro-carovana dal titolo suggestivo: «Il Senegal va meglio».

Già, come va il Senegal?

«LA VETRINA È MOLTO BELLA ma il negozio è quasi vuoto» mi risponde Lamine D., inserito da anni con diversi ruoli nei ministeri che contano. La forbice sociale si allarga sempre di più. Ci sono più benestanti, ma i poveri aumentano esponenzialmente con pochissimi sbocchi lavorativi nel mercato formale e una gigantesca massa di lavoro informale, senza nessuna tutela. Se si aggiunge l’insicurezza alimentare, i servizi educativi e sanitari ridotti all’osso il quadro è quasi desolatamente completo.

PER COMPLETARE quel quasi occorre aggiungere i continui episodi di guerriglia a bassa intensità in Casamance (l’ultimo episodio il 3 novembre scorso nel distretto di Bignona, dove un commando super organizzato ha razziato i malcapitati di 20 autoveicoli, sequestrando almeno 8 passeggeri per ore), destinati purtroppo ad aumentare man mano che si avvicinerà il 24 febbraio 2019; una misteriosa epidemia di febbre apatica che ha sterminato il bestiame nella zona di Kaffhrine; i contratti (capestro) già firmati da Macky Sall che esporrano il paese a un pericoloso indebitamento crescente in cambio di altre infrastrutture e opere pubbliche (la vetrina).

 

Infrastrutture, febbre da inaugurazione per Macky Sall