Il Senato Usa ha bloccato ieri la riforma della National Security Agency, cuore dello scandalo Datagate. La misura, «U.S.A. Freedom Act», prevedeva la fine della raccolta automatica di dati dalle chiamate telefoniche degli americani. La scoperta che il governo dal 2001 in poi raccoglie i dati delle telefonate dei cittadini americani era stata una delle rivelazioni più importanti di Edward Snowden, l’ex dipendente Nsa e fonte del Datagate.

Così la riforma non ha superato il voto procedurale non incassando i 60 voti necessari per l’avvio del dibattito ma solo 58 sì. A votare no quasi tutti i repubblicani, contrari ad una revisione profonda dei poteri della Nsa.

Un rinvio al prossimo anno del dibattito sulla riforma e di fatto un rischio per la sopravvivenza della riforma: sono infatti le ultime settimane in cui i democratici hanno il controllo del Senato, dopo la vittoria elettorale repubblicana di midterm il 4 novembre. Da gennaio infatti il Grand Old Party avrà il controllo dell’intero Congresso. Patrick Leahy, il democratico che fino a fine mese guiderà la commissione giustizia della Camera, e che è uno dei firmatari della riforma, ha comunque dichiarato che non esclude il tentativo di un nuovo passaggio in aula nelle prossime settimane. Il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, ha bocciato la riforma voluta da Obama dichiarando: «Questo è il momento peggiore per legarci le mani dietro la schiena».

E, tanto per chiarire lo scontro che si profila – anche intestino ai due schieramenti – poco prima il senato americano aveva deciso, 59 voti a 41, di non dare l’autorizzazione al super oleodotto Keystone progettato per trasportare petrolio dai giacimenti canadesi al Golfo del Messico. Quella sul Keystone Pipeline è una battaglia che si trascina sin dal primo mandato Obama e un cavallo di battaglia dei repubblicani che spingono per la costruzione nel nome dell’«indipendenza energetica».

20est1 USA no oleodotto KEYSTONE SENATE

Per il movimento ambientalista la conduttura lunga 3500 km della capienza di 700.000 barili di greggio al giorno che attraverserebbe reserve naturali, zone protette e passerebbe sopra all’Ogalalla aquifer, una delle maggiori falde freatiche del Nordamerica, è emblematica delle grandi opere ad alto rischio ambientale e perdipiù una sovvenzione pubblica al settore privato. L’opposizione ha generato un’alleanza fra allevatori degli stati del nord e diverse tribù le cui reserve verrebbero attraversate dall’oleodotto. La scorsa settimana i Sioux del South Dakota hanno dichiarato che considererebbero la costruzione sulle proprie terre un «atto di guerra». Neil Young e Willy Nelson hanno organizzato un concerto a favore della loro causa.

Obama, che ufficialmente non ha preso posizione, ha di recente prolungato indefinitamente lo studio di fattibilità che da anni si protrae senza una raccomandazione finale e ha comunque rilevato che l’oleodotto favorirebbe soprattutto il Canada.

Naturalmente male non farebbe neanche alle raffinerie del Texas, terminale ultimo della pipeline, dove il greggio verrebbe elaborato ed eventualmente, ora che gli Usa sono un esportatore netto di energia, imbarcato per il mercato internazionale. Nello stesso partito di Obama c’è così una fazione «possibilista» che in privato considera che fra i molteplici contenziosi che si profilano fra il presidente e i repubblicani nel futuro, il completamento del Keystone potrebbe costituire oggetto di possibile compromesso.

Nella votazione l’approvazione in effetti è mancata per un soffio grazie al «tradimento» di 14 franchi tiratori democratici che hanno votato a favore mancando la maggioranza di 60 voti per una sola preferenza. Perché? C’entra molto una poltrona del senato – quella appartenente a Mary Landrieu, rampolla di una dinastia politica della Louisiana impegnata in una problematica rielezione. Le «sette sorelle» sono padrone del Golfo e, come il confinante Texas, la Louisiana è uno stato petrolifero che si troverebbe al terminale dell’oleodotto. Perfino dopo il disastro Deepwater costato il lavoro a decine di migliaia di pescatori, la lobby petrolifera è potentissima, e genera più di 300.000 posti di lavoro.

Nel midterm di due settimane fa Landrieu ha ottenuto il 42% dei voti in una corsa a tre ma deve ora affrontare un ballottaggio che la vede fortemente sfavorita verso il repubblicano Bill Cassidy. La sua sconfitta rappresenterebbe l’ulteriore consolidamento della maggioranza dei repubblicani che conquisterebbero il 54mo seggio. Così si spiega che sia stata proprio lei a mettere all’ordine del giorno la votazione sul Keystone sperando di poter portare a casa una vittoria «petrolifera» alla vigilia delle elezioni.

La realtà è che è un contenzioso simbolico. Intanto un oleodotto esiste già (anche se meno capiente) e la proposta sarebbe in pratica un raddoppiamento. In fondo il danno arrecato all’ambiente dall’oleodotto stesso è probabilmente minore di quello dei tanti pozzi di fracking spuntati come funghi in tutta America.

Certo simbolicamente, nell’ottica della rinnovata politica pro-clima e pro-economia verde, l’oleodotto sarebbe un segnale forte nella direzione sbagliata – un’adesione all’economia degli idrocarburi, nato perdipiù per trasportare greggio proveniente dalle sabbie bituminose dell’Alberta che richiede quindi un’estrazione con solventi altamente nocivi e che produce emissioni più alte del 12% di quello tradizionale.