Doveva essere l’ultimo parlamento con un senato elettivo, Matteo Renzi aveva auspicato di essere l’ultimo presidente del Consiglio a dover chiedere la fiducia anche a palazzo Madama. Il fallimento della sua riforma costituzionale ha salvato il bicameralismo paritario, ma il paradosso è che proprio il senato riuscirà a darsi un nuovo regolamento, più rigoroso contro il trasformismo parlamentare. E la camera no.
Era nell’aria da qualche settimana, ma da ieri si può dire ufficialmente che la camera dei deputati non riuscirà a riformare il suo regolamento, malgrado ci stia tentando dal 2014 (si era fermata proprio per aspettare la riforma Costituzionale, poi naufragata). A imporre lo stop definitivo sono stati Forza Italia e Movimento 5 Stelle, che hanno annunciato voto contrario alla bozza «minimale» messa a punto da un gruppo di lavoro interno alla giunta per il regolamento. I grillini chiedono di più – vorrebbero togliere i fondi a tutti i nuovi gruppi – i forzisti semplicemente dicono che a fine legislatura non è aria. La cosa curiosa è che invece berlusconiani e pentastellati al senato sono stati decisivi per rimettere in pista la riforma del regolamento: sia alla camera che al senato serve la maggioranza assoluta da raggiungere con lo scrutinio segreto. A palazzo Madama il nuovo regolamento – in base al quale nella prossima legislatura si potranno costituire gruppi (con almeno 10 senatori) solo in rappresentanza di un partito o movimento politico che si è presentato alle elezioni con il suo nome e simbolo – sarà approvato dall’aula subito dopo la legge di bilancio. Il termine per gli emendamenti scade oggi. Relatore il leghista Calderoli. Alla camera invece tutto resta com’è adesso.