Jacques Tourneur, figlio del grande regista Maurice, è nato a Parigi nel 1904. Prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, la famiglia Tourneur parte per Hollywood dove Maurice diventerà uno dei registi più affermati ed eclettici del muto. I Tourneur rientrano in Francia nel 1928. Assistente e montatore di alcuni film del padre, Jacques esordisce alla regia nel 1931 con Tout ça ne vaut pas l’amour. Dopo altri tre film decide di tornare in America. Alla sezione cortometraggi della Mgm realizza film sorprendenti, oggi riscoperti. Nel 1942 incontra alla Rko il produttore Val Lewton col quale realizza tre capolavori affascinanti e sinistri che rivoluzionano il cinema horror e fantastico, sotto il segno della suggestione e dell’immaginazione: Cat People, I Walked with a Zombie, The Leopard Man.
Fino al 1965 si cimenterà con quasi tutti i generi hollywoodiani, lavorando all’interno del sistema degli Studios, accettando qualsiasi condizione produttiva, confermandosi professionista preciso e affidabile. A Hollywood girava un detto al proposito: «Quando una sceneggiatura ha fatto il giro degli Studios e tutti l’hanno rifiutata, datela a Tourneur». Ha affrontato tutti i generi più popolari: poliziesco (Nick Carter. Master Detective), western (Canyon Passage, Great Day in the Morning), cappa e spada (Anne of the Indies, The Flame and the Arrow), commedia (Toto, Les filles de la concierge), film di guerra e spionaggio (Berlin Express, Days of Glory), noir (Out of the Past, Nightfall), melodrammi (Experiment Perilous, Easy Living), avventurosi (Appointment in Honduras, War-God of the Deep), fino a progetti molto personali come Stars in My Crown e Night of the Demon. Il suo resta un affascinante percorso solitario, segreto, che ha dato vita a un’opera che sembra dissimulare paradossalmente la figura dell’autore.
SOPRANNATURALE
«Uomo senza biografia», condusse a Hollywood una vita modesta e appartata. Pochi gli amici: tra questi, il suo attore prediletto, Dana Andrews. Ritornato in Francia nel 1966, visse quasi dimenticato a Bergerac, dove Jacques Manlay e Jean Ricaud lo incontrano, portando a compimento la sua unica intervista filmata, a pochi mesi dalla morte, nel 1977. Non riuscì mai a realizzare il progetto più amato, Whispering in Distant Chambers, sulla «presenza» dei fantasmi nel castelli. Lo voleva girare in Inghilterra, dove aveva già realizzato due dei suoi film maggiori, Circle of Danger e The Night of the Demon.
Definito da Petr Kral «il più lirico dei cineasti americani» era un uomo che credeva nel «soprannaturale», nell’esistenza di mondi paralleli, di «passaggi» notturni che aprivano ad altre dimensioni. Dietro la sua apparente umiltà si celava un cineasta di prima grandezza, talvolta malinconico, mai rassicurante. I suoi film sono avventure della luce e dell’ombra, oppure mirabili parabole cromatiche. Mormorio e silenzio: Tourneur filma l’invisibile, l’inesprimibile, il non detto, la paura dell’ignoto, l’ambivalenza dei sentimenti. Ogni suo film lascia trapelare uno strato di tensione e instabilità, dove nessuna certezza è possibile. La recitazione (numerose le star che hanno lavorato con lui), a volte quasi catatonica, sonnambolica, apparentemente inespressiva (è nota la sua ricerca di una dizione a bassa voce), raggiunge però punte di massima intensità.
Fare il possibile con quanto si ha a disposizione, e – insieme – cercare di lasciare la propria firma, regalare la propria arte, esattamente lì, dentro quel margine ridotto, in quell’equilibrio fragile, quando nessuno se lo aspetta: la grandezza e la magia del cinema di Jacques Tourneur stanno tutte qui, facendone per i cinéphiles uno degli «autori» insieme più modesti e più misteriosi, la cui fascinazione ha segnato la storia della critica, dalla sua scoperta negli anni Sessanta con i critici macmahoniens, Lourcelles, Tavernier, e proseguita con Skorecki, Biette, Eisenschitz, Miguel Marias, fino ad arrivare, nel 1998, al fondamentale e insuperato libro di Chris Fujiwara, Jacques Tourneur. The Cinema of Nightfall.
RISONANZE METAFISICHE
Tourneur diventerà così negli ultimi decenni l’eroe per eccellenza della cinefilia internazionale più raffinata ed esigente, instancabile nel sondare le risonanze metafisiche della sua opera con esegesi critiche talvolta esoteriche, sempre appassionate. In più, la sua «presenza», ora segreta ora dichiarata, finirà per manifestarsi nei film di diversi cineasti contemporanei, da Ruiz a Pedro Costa fino a Kurosawa Kiyoshi. Rivedere oggi i suoi film al Festival di Locarno è un’occasione unica, soprattutto per le giovani generazioni. «Quale posto pensa occuperà nella storia del cinema?» gli viene chiesto nell’ultima intervista: «Nessuno. Non c’è nulla di più evanescente di un’immagine in celluloide». I film invece sono ancora qui, in copie ora buone ora precarie. Ed è un peccato non poter dire al loro autore, che non volle mai essere un «maestro», quanto oggi li amiamo.

* Versione ampliata dell’introduzione alla retrospettiva Jacques Tourneur, contenuta nel catalogo generale del Locarno Festival 2017