Il segreto di una famiglia di Pablo Trapero, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2018, dal titolo originale La Quietud a quello italiano perde un po’ della pacata serenità che non lascia indovinare il feroce il ribaltamento del racconto. «La quiete», nome adatto alla residenza di campagna della famiglia alto borghese di Buenos Aires con i suoi misteri.

Trapero chiude una fase della memoria come chiude per sempre i cancelli della magione. La classe alta ispira al regista un melodramma incestuoso dove tutto avviene all’interno di una famiglia, tra sorelle, tra figlia e padre, tra cognati, tra madre e figlie, inestricabile viluppo di sentimenti che evocano il potere. Ma è un potere che ormai ha fatto il suo tempo. Evidentemente senza parlare del passato è ancora difficile nel paese affrontare il presente, tanto più tutti i componenti della famiglia dichiarano in vario modo che il passato non esiste.

TRAPERO esplora le dinamiche familiari per fare i conti con il passato ma dà anche l’impressione di esplorare personaggi e generi con cui non ha grandi affinità (donne e melò). Quanto El Clan era un film dominato da un patriarca, qui siamo immersi nell’atmosfera di un grande matriarcato, una presenza femminile violenta quanto silenziosa, dominata dalla grande interprete argentina Graciela Borges (un cognome che le fu offerto dallo scrittore quando la famiglia le proibì di usare il suo), celebre bellezza internazionale degli anni ’60, musa di Leopoldo Torre Nilson e interprete per tutti i grandi da Ayala a Manuel Antin, Leonardo Favio, Alejandro Doria, moglie di Raul de la Torre e negli ultimi anni anche interprete scelta dalla nuova onda argentina, da Burman a Martel a Campanella.

Nessuna come lei può incarnare il passato e rappresenta una grande sfida, come icona del cinema, per le due giovani interpreti femminili, le sorelle, avvolte dal senso di inquietudine che trasmette il film (Martina Gusman e Bérénice Bejo). La quiete del resto si interrompe presto, quando il padre famoso avvocato e diplomatico, è chiamato lui stesso in giudizio per fatti dei tempi della dittatura, ha un attacco di cuore e intorno a lui si riunisce tutta la famiglia, compresa la figlia che viveva a Parigi da 15 anni.

La complicità erotica con la sorella si rinnova parallelamente al labirintico intreccio dei rapporti, mentre la camera resta distante come a osservare il gioco al massacro che viene montando.

FILM audace nelle intenzioni e imperfetto nelle soluzioni, come a volersi ispirare indifferentemente a riferimenti al tempo stesso cinematografici e televisivi, rappresenta un’occasione di regolamento di conti interno all’Argentina. I cancelli che si chiudono per sempre sulla «Quietud» dovrebbero liquidare anche il potere delle grandi famiglie fiancheggiatrici della dittatura, un capitolo affrontato in vari paesi del latinoamerica, dal Brasile al Cile, dove vediamo negli ultimi anni film che elaborano collegamenti tra classi alte e dittatura.

Trapero in ogni caso è tornato ad occuparsi di conflitti meno emotivi e più sanguigni, ha terminato di girare tre episodi di Zero Zero Zero, serie basata sul libro di Saviano, di cui Stefano Sollima sta tenendo le fila, in uscita l’anno prossimo su Amazon Prime.