Perché alcuni film ci prendono quando li vediamo e li ricordiamo a lungo mentre altri li vediamo superficialmente e li dimentichiamo subito? Perché in alcuni personaggi viene voglia di identificarvisi e altri li respingiamo, o altri ancora passano inosservati? Di queste e tante altre domande scopriamo le risposte in un piccolo libro apparso di recente: Scrivere con gli archetipi di Augusto Q. Bruni (collana Saggistica dell’editore paginauno, 193 pp., 20 euro). L’autore che ha già pubblicato un manuale su come scrivere una sceneggiatura ci svela che il segreto sta nella natura stessa dei personaggi protagonisti delle storie, «una natura così potente che riesce a far da modello di riferimento attraverso millenni» – come leggiamo in quarta di copertina. Infatti, Bruni intende questo volumetto come «un manuale di scrittura creativa» per tutti coloro che vogliono sperimentarsi nello scrivere storie.

IL LATO affascinante di questo testo è che non si riduce alle solite regole o alla ruota dell’eroe con le varie tappe di evoluzione; metà del libro espone interessanti molteplici riflessioni sulla narratologia, sulla mitologia, sulla settima arte e sulle varie implicazioni delle diverse discipline umanistiche all’interno di un film piuttosto che di un altro. Sì, perché dal racconto puramente mitologico della fondazione del mondo, tipo l’Odissea, si arriva a quelli in cui agli eroi divini o semi-divini che impersonano ognuno un’anima del popolo, si sostituiscono eroi umani nei cosiddetti «poemi epici» come I Nibelunghi o Il Ciclo di Ulster, nei quali il mito trasmuta nella Storia dando luogo ai tanti racconti di corte e del mondo cavalleresco – non ultimi Excalibur, Il signore degli anelli o La ricerca del Graal.
Nel capitolo Narrazione e psicologia il focus sono gli archetipi riscossi presso Jung e i suoi discepoli, e le loro influenze in seguito, citando la «realtà fluida» in Gustave Flaubert – che per primo aveva abbandonato le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione – fino all’apparizione del dialogo interiore in Joyce, Pirandello e Dostojevskij. Veniamo a scoprire che senza James Hillman e le sue Storie che curano o L’Eroe dai mille volti di Joseph Campbell (entrambi allievi junghiani) non ci sarebbe stata la saga che coinvolge mezzo mondo da oltre trent’anni, ossia Star Wars, visto che il suo stesso ideatore, George Lucas, avrebbe dichiarato «il proprio debito di riconoscenza nei confronti dell’opera di Campbell», come ci fa sapere Bruni.

IL VOLUME è suddiviso in quattro parti, nella prima si affronta il significato della narrazione e del perché si narra. Vi troviamo l’importante distinzione tra narrazione lineare e quella non-lineare, da quest’ultima erano scaturite, ad esempio in ambito filmico, le varie esperienze surrealiste e le diverse nouvelle vague, free cinema, molto cinema degli anni settanta, un certo cinema visionario, ma anche opere del cinema africano e di quello orientale in genere (basti pensare a Rashomon di Akira Kurosawa, in cui una stessa storia si narra diverse volte da punti di vista molteplici). Nella seconda parte si entra nella dinamica della storia, affrontando il tema dell’identità e i compiti dell’eroe, mentre la terza prende in esame alcune considerazioni generali riguardo l’atteggiamento di colui/colei che scrive, ossia motivazione e semplicità – ma anche come usare gli archetipi che poi saranno spiegati nel dettaglio.
Bruni suggerisce a un futuro scrittore di assumere una posizione da marionettista che tira i fili dei propri personaggi, senza coinvolgimento personale, e per quanto riguarda l’emozionalità, illustra come meglio veicolarla grazie all’esempio dell’attore che interpreta un personaggio: il metodo Stanislavskij-Strasberg guida un attore a farsi possedere dal personaggio, mentre le indicazioni della scuola di Cechov fanno in modo che l’attore agisce il personaggio.

LA QUARTA parte espone in meno di cento pagine con tantissimi esempi di film noti le quattro figure principali di eroe archetipale ossia il re, il guerriero, il mago e l’amante, inclusi i vari principi funzionali e le mutazioni in positivo e negativo, cioè i lati maturo e immaturo, luce e ombra. Ad esmpio, una variante dell’archetipo del re, è il re bambino, il quale può apparire come bambino divino (Il piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci o Il piccolo principe) oppure come tiranno sul seggiolone (il bambino tiranno nel secondo episodio di Caro Diario di Nanni Moretti o il piccolo Herman di Chi ha incastrato Roger Rabbitt di Robert Zemeckis).

ARRICCHISCONO il volume le tante citazioni e i numerosi rimandi a figure mitologiche note e meno note per cui viene voglia di andare a ri/leggerle, per comprenderne meglio la funzione, nonché di andare a ri/vedersi certi film per guardarli con altra ottica andando a verificare se questo o quel personaggio ha davvero la finalità descritta: il piccolo Ron nella saga di Harry Potter è la modalità del «mago bambino tonto»?

Stimola a guardare d’ora in poi i film e le serie con altri occhi per individuare un «mago manipolatore» (Bruni indica Le idi di Marzo di Clooney come un tipico esempio di questo archetipo applicato a storie ambientate nella politica) o per riconoscere le caratteristiche dell’ «amante» che si visualizzano in personaggi che permettono di recuperare una parte fondamentale del sé di ognuno di noi, uomo o donna che sia.
Per questo ci porta l’esempio de Il quinto elemento di Luc Besson, mentre a proposito di Barry Lyndon cita un altro tipo di «amante» , ovvero la bellezza estetica come consapevolezza dell’esperienza multisensoriale nel vivere un grande amore, qui da parte del regista Stanley Kubrick che l’ha prodotta. Da vedersi anche nel più contemporaneo Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson, il quale ne ha anche curato la fotografia particolarmente incentrata sull’ideale del bello a tutto tondo.