Il segreto del loro successo – e del successo del manifesto? L’unità nella diversità. Luigi Pintor, grande testa politica, passione, fiuto, intelligenza, l’orecchio del pianista; Valentino Parlato, eclettismo, cultura profonda, gusto dell’analisi economica, piacere della conversazione, specie con il nemico; Rossana Rossanda, originalità di pensiero, che si specchia in una scrittura personalissima, attenzione ai fatti del mondo con un continuo sottotesto cosmopolita, sensibilità per i diritti, per la giustizia giusta, un’idea vitale e dinamica del comunismo, processo di liberazione complicato ma possibile.

PERSONAGGI UNICI, con una storia personale e collettiva ricca e intensa che trovano nella diversità dell’altro un di più, una risorsa, un arricchimento, anche quando essa va verso l’estremo opposto. A loro s’aggiungerà Michelangelo Notarianni, altrettanto colto, più vicino a Rossana che a Luigi e a Valentino nella sensibilità verso le culture «nuove» rispetto alla tradizione comunista, ecologia, psicoanalisi, scienza, anch’egli ansioso di costruire un’Italia, un mondo migliore, con i mezzi propri di un piccolo grande giornale, intrecciando il qui e ora con l’esigenza di un pensiero lungo da rinnovare ogni giorno. I fondatori del manifesto hanno avuto questa straordinaria, lungimirante, capacità di trovare un punto d’incontro fecondo tra intelligenze, esperienze, vissuti, intorno a un progetto condiviso, un patto che ha reso possibile la nascita di un giornale originalissimo come il manifesto, il suo sviluppo e, checché se ne pensi, l’ulteriore proseguimento, anche dopo di loro. Non avessero fatto scuola, e se il manifesto non fosse ancora in attività e con un futuro, non saremmo qui a parlare di loro: senza la felice interazione tra loro, e la trasmissione a chi è seguito di questo «segreto», sarebbero stati legati a una breve stagione, e con loro il manifesto.

La scomparsa di Luigi, Michelangelo, Valentino e, adesso, di Rossana, mentre s’avvicina il cinquantesimo compleanno del manifesto, deve far riflettere sulla forza straordinaria del mix che ha consentito la nascita e lo sviluppo di un’impresa come il quotidiano comunista, nell’idea che, su quella scia, la sua vita possa proseguire per un altro mezzo secolo. Una miscela che era certo composta da personalità speciali – un noi, non una somma di io, per quanto grandi – ma soprattutto dalla loro capacità di mettere nella giusta relazione parti che, normalmente, nei giornali, anche oggi, nell’epoca di internet, tendono a essere tenute separate, quando nella realtà sono interconnesse. La trama «narrativa» principale era ed è nella lettura dei fatti, secondo una dimensione internazionale dei problemi, anche domestici, anche sociali e culturali.

PARADOSSALMENTE, oggi, nell’epoca della globalizzazione, si tende a trattare i temi politici, economici e culturali a parte rispetto alle dinamiche internazionali, senza alcuno sforzo di cercare i fili che collegano gli eventi. Questa speciale chimica del manifesto, la si deve soprattutto a Rossana Rossanda. In lei c’era molto di più che la «cultura» internazionale e internazionalista dei comunisti italiani. Era più, infatti, quella di una cosmopolita.

Rossana era capace come poche e pochi di costruire e coltivare relazioni politiche e intellettuali significative e durature in tutto il mondo. La sua sensibilità la portava a cimentarsi con i grandi temi internazionali che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento. L’archivio del manifesto è una miniera di articoli bellissimi di RR di politica internazionale. Sarebbe però non solo riduttivo, ma anche fuorviante, confinare la sua considerevole attività di intellettuale, scrittrice, giornalista dentro un perimetro definito, sia pure di dimensione internazionale, perché il suo era innanzitutto un punto di vista con cui guardare le cose, i fenomeni, i movimenti, con cui interpretare e descrivere i fatti, un punto di vista che poneva anche le vicende italiane, i fatti della cultura e dell’attualità, dentro la prospettiva, ampia, di un mondo in movimento.

TUTTI I SUOI articoli rivelano questa sensibilità. Il suo stesso essere comunista trovava fondamento e alimento su questa base, e di qui, probabilmente, la sua insofferenza crescente, la sua critica sempre più severa verso un politicismo senza ambizioni e il trionfo del tatticismo di corto respiro che, contro e dopo le speranze generate dai grandi fermenti e scossoni degli ultimi anni Sessanta e negli anni Settanta, avevano conquistato e “corrotto” la sinistra. Facendole smarrire la bussola che l’avevano resa protagonista importante dei grandi cambiamenti rivoluzionari del primo Novecento, poi della lotta antifascista, e poi dell’affermazione di un grande partito comunista in Italia e di un sindacato altrettanto importante.