«Angela Merkel non ha più dimenticato la lezione del 2005»: per Herfried Münkler, docente di teoria politica all’Università Humboldt di Berlino, il voto di 8 anni fa aiuta a capire quello dell’altro ieri.

Perché è importante guardare a quelle elezioni per spiegare l’ottimo risultato di Merkel?

Nel 2005 la Cdu era largamente in testa nei sondaggi, ma si presentò alle urne con un programma neoliberale che le fece perdere consenso: fu pareggio con la Spd e grosse Koalition. Da allora, Merkel ha capito di dover «socialdemocratizzare» il suo partito: in questo modo ha conquistato molti potenziali elettori della Spd collocati «al centro». Un prezzo che, nel futuro, potrebbe pagare per questa scelta è l’eventuale consolidamento alla propria destra di Alternative für Deutschland (Afd), un partito populista ma non antidemocratico. Inoltre, Merkel ha vinto anche per l’intelligenza con la quale ha gestito la crisi europea di fronte all’opinione pubblica interna. Se si pensa alla mentalità tedesca, si capisce che ha visto giusto nell’insistere sulle «controprestazioni» che devono essere pretese dai Paesi che ricevono gli «aiuti».

Allora ha ragione chi dice, come il sociologo Ulrich Beck, che Merkel è socialdemocratica in patria, ma neoliberale in Europa?

Solo in parte. A mio giudizio, è troppo semplicistico definire neoliberale la politica di Merkel in Europa. Io credo che la cancelliera difenda un modello che si basa sui fondamenti dello stato sociale tedesco, che prevede una relazione fra diritti e doveri. Le conseguenze possono non piacere, ma questo non è neoliberalismo.

Il voto rafforza chi sostiene che in Europa si debba imitare il modello economico tedesco. Ma esistono fondati dubbi sul fatto che il «modell Deutschland» sia generalizzabile. Qual è il suo giudizio?

Penso che il modello economico tedesco non sia generalizzabile. E tuttavia, la domanda da farsi è: com’è stato possibile il predominio tedesco nelle esportazioni? La scarsa produttività negli altri Paesi europei ha un ruolo. Onestamente, io non condivido la posizione di quanti a sinistra dicono che questo successo è dipeso dai salari bassi dei nostri lavoratori: nell’industria non è così. Quel discorso vale solo per il settore dei servizi. E la fortuna politica della Germania è stata proprio quella di non orientarsi sugli interessi dell’economia dei servizi, ma restare un Paese industriale: in caso contrario, le diseguaglianze sarebbero cresciute molto di più. La società dei servizi è quella dell’avvocato d’affari che guadagna 15mila euro per mettere una firma e del pony express che guadagna 15 euro al giorno. E dove i sindacati non hanno alcun ruolo, perché il lavoro è molto individualizzato.

Fra la Spd e la Cdu-Csu c’è un abisso: cosa deve cambiare nel Partito socialdemocratico perché possa tornare sopra il 30%?

Se guardiamo i risultati, vediamo che il campo borghese ha cifre molto alte: alla percentuale dei democristiani bisogna sommare i liberali della Fdp e gli euroscettici di AfD. Chi ha votato i due partiti minori di centro-destra è molto più vicino alla Cdu-Csu che alle forze progressiste. Se la Spd decidesse di spostarsi decisamente a sinistra e si presentasse alle prossime elezioni volendo governare con la Linke, rischierebbe di perdere ulteriori voti al centro. Credo che la Spd non abbia bisogno di un riposizionamento ideologico, ma essenzialmente di nuove figure-guida. Ci piaccia o no, viviamo in società fortemente differenziate nelle quali l’identificazione nella leadership conta di più delle appartenenze ideologiche. Lo si può notare bene nel successo politico di Merkel, che è riuscita a riconquistare quel voto femminile che dai tempi di Willy Brandt era orientato verso sinistra. Ora, per molte donne tedesche conta di più riconoscersi in una cancelliera donna che non nelle posizioni che difende la Cdu. Non è un caso che nella Spd stia emergendo Hannelore Kraft, governatrice del Nordreno-Westfalia, come possibile nuova leader.

Probabilmente siamo alla vigilia di una nuova «grosse Koalition»: non vedo grandi novità nella politica europea del governo tedesco. Sbaglio?

No, non sbaglia. I socialdemocratici si esporranno poco sul tema Europa e la linea seguita fin qui non cambierà. Bisogna considerare che le questioni comunitarie, in generale, sono ormai gestite direttamente nella Cancelleria. Anche nel caso in cui la Spd avrà – come succede tradizionalmente per il partito minore di una coalizione – il ministero degli esteri, a decidere sull’Europa sarà sempre Merkel.