Cultura

Il segreto dei funghi

Il segreto dei funghi/var/www/ilmanifesto/data/wordpress/wp content/uploads/2014/07/09/preview the future of plastic officina corpuscoli mmontalti 720x480

Mostre In mostra alla fondazione Plart di Napoli «The Future of plastic», un progetto ideato da Maurizio Montalti, giovane designer italiano che vive a Amsterdam

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 10 luglio 2014

Ciotole, piatti, contenitori, il colore ricorda la canapa, l’odore richiama la foresta, lo sguardo si posa su superfici ruvide, dall’aspetto artigianale. Eppure la prima installazione spiega al visitatore che esiste The future of Plastic. Un paradosso poiché si tratta del futuro della plastica senza alcun materiale plastico. Il progetto (in mostra al Plart di Napoli fino al 27 settembre) è stato ideato da Maurizio Montalti, un giovane designer italiano che ha stabilito il suo laboratorio «Officina Corpuscoli» ad Amsterdam. In Olanda, infatti, può ideare e realizzare nuovi prodotti collaborando con istituti di ricerca pubblici e università: «In Italia è molto più complicato – spiega -. Ho studiato ingegneria e sono appassionato di biologia, ma non seguo protocolli scientifici: questo mi consente di sperimentare percorsi inconsueti. Ho imparato moltissimo anche dai coltivatori di funghi e dalle loro tecniche artigianali».

Punto di partenza è il ciclo produttivo agricolo: combinando scarti come la legna o la canapa con il processo digestivo dei fungi («gli organismi, non il frutto», sottolinea) viene fuori una resina che aggrega i materiali, il risultato è un composto simile alla plastica, ignifugo e idrorepellente, da cui produrre oggetti anche di uso comune non inquinanti. «La plastica con le sue superfici lisce sembra un prodotto senz’anima, persino un po’ minaccioso. Il mio scopo è ribaltare questo paradigma. All’inizio impiegavo tre settimane, poi due, adesso tre giorni, ma ci sto ancora lavorando. Sto anche ragionando su un materiale ottenuto direttamente dai miceli del fungo, lavorando su umidità e temperatura. È un progetto di ricerca aperto, con molte collaborazioni e differenti professionalità. Quello che c’è in mostra ha una sua qualità artistica e un odore che richiama gli elementi con cui gli oggetti sono prodotti. Se si dovesse passare alla realizzazione industriale per l’uso comune allora si dovrebbe anche affrontare la questione dell’odore, ad esempio». Per la produzione in serie in Olanda si sono già fatti avanti: «In nord Europa, le imprese sono alla ricerca di idee innovative. Ma non ci siamo ancora legati a nessuno perché brevetterebbero l’idea togliendola dallo sviluppo orizzontale e aperto in cui l’ho fatta crescere fino ad ora. Quello che voglio è tutelarla con un marchio sul modello creative commons e poi avviare la produzione di growing design, oggetti coltivati».

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