Se un comune mortale scrive un libro e succede qualcosa a tre giorni dall’arrivo nelle librerie non c’è modo di infilarci dentro la notizia dell’ultimo secondo. Se invece a scriverlo è l’onnipotente Bruno Vespa ci ritrovi dentro un’intervista a Matteo Renzi sul caso romano che più fresca non si può. Nessuno ha mai sospettato il premier di generosità: «Bastonare il can che affoga» dev’essere il motto della sua casata. Non si smentisce. Infierisce sull’ex sindaco che Maramaldo al confronto era un signore. «Chi fallisce la prova dell’amministrazione si rifugia nella cerimonia d’addio, vibrante denuncia di un presunto complotto. I politici si dividono in capaci e incapaci. Non c’è disonestà intellettuale più grande di chi inventa complotti per nascondere i propri fallimenti».

In effetti non si può parlare di «complotto» se un capo del governo lesina il centesimo per una bazzecola come il Giubileo finché la città è guidata da chi gli sta sui cosidetti e allarga i cordoni della borsa appena quello riceve il benservito. Ma neppure si può parlare di comportamento che con la lealtà c’azzecca fosse pure alla lontana. Vespa, di sfuggita, suggerisce che i veleni del capo potrebbero essere destinati non solo a Marino, ma anche a Enrico Letta. Casomai qualcuno volesse rinfacciare al capo qualche nobiltà d’animo.

Il premier parla anche della futura candidatura per il Campidoglio: per dire che al momento non c’è un’idea che sia una. «Prima – annuncia – riorganizzeremo il partito dilaniato da correnti interne. Poi sceglieremo». A riorganizzare, data la bella prova appena offerta, ci penserà l’altro Matteo, Orfini, per il quale quanto affermato a proposito di Marino non vale. Qualcuno può «amministrare» male senza dover sloggiare.

Nel buio totale nel quale ondeggia il partito dei Mattei, non c’è voce che non circoli. C’è chi scommette che alla fine Renzi schiererà una donna e che si tratterà di una ministra, Madia oppure Lorenzin, che almeno se finisce tagliata fuori anche dal ballottaggio non copre d’onta il Pd. Qualcuno bisbiglia anche il nome della Boschi, la quale tuttavia appare troppo scaltra per bruciarsi in un’impresa tanto disperata. C’è chi profetizza un rinvio del voto, anche quello negato a gran voce ma si sa che per Renzi questo non è mai un problema. E’ improbabile, dato che ci vorrebbe una leggina ad hoc il cui passaggio sarebbe tranquillo come il fronte siriano, ma non è impossibile. La strategia preferita di Renzi resta quella di tirare fuori il coniglio d’oro dal cilindro del Dream Team che, anche grazie ai soldi miracolosamente trovati da palazzo Chigi, dovrebbe salvare in extremis il Giubileo.

Poi naturalmente c’è Marchini. Dovrebbe essere il candidato della destra azzurra, ma su quel fronte il cielo luminoso si è di colpo fatto scuro. Il sostegno di re Silvio doveva restare un segreto fino all’ultimo. Il loquace ex cavaliere ha scoperto il gioco avendo forse subodorato la manovra del Pd per fare di «Arfio» una sorta di candidato a mezzadria. Quello, di rimando, ha dovuto smentire ogni alleanza con Arcore e la reazione non ha tardato: mezza Fi afferma che le parole del capo non erano un endorsement. Non significa che il sostegno azzurro per Marchini sia sfumato, ma si può star certi che di colpi di scena la partita romana non ne risparmierà.