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Se si volesse raccontare una fiaba per adulti incantati che avesse come tema la natura, questa fiaba potrebbe finire con «e la chiacchierata fra Arte e Natura fu così forte e lunga che parla, parla, disegna, disegna alla fine venne fuori da un foglio la Realtà indossando un bellissimo vestito fatato».

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La fine di questa fiaba condensa invece il piccolo e umanissimo incantesimo che sostiene la mostra Teatri di terra, organizzata dal festival Minimondi giunto alla sua 15/ma edizione: una rassegna dedicata al tema della rappresentazione della natura nell’arte contemporanea e nell’illustrazione del libro per ragazzi, curata da Gloria Bianchino, aperta fino al 28 giugno, a Palazzo Pigorini a Parma.

Attraverso fotografia, pittura, scultura e illustrazione per l’infanzia – quest’ultima vero Eden del libro d’artista – la mostra cammina lungo il sentiero della parte più recente di una storia della rappresentazione della natura. Se è vero che il naturale è da sempre piegato e modificato dalla cultura, è anche vero che l’aspetto visivo e liberatorio di quella culturalizzazione, e cioè l’espressione artistica, è un fatto talmente profondo da sembrare a sua volta «naturale». Insomma, per citare Gilles Clément: «Se in questa Breve storia del giardino non è stata affrontata la dimensione artistica, è perché tale dimensione l’attraversa in profondità e fin nei minimi particolari, tanto che sembra inutile sollevare la questione».

La mostra di Parma, invece, si prende l’incarico non facile di sollevarla la questione e di portare in superficie quella dimensione affinché si possa verificare la forza di quel legame visivamente, quasi tattilmente. Allora se diventa necessario porre attenzione a come si insegna a uno sguardo infantile o di adolescente l’osservare la natura, nella mostra l’indicazione più forte sembra essere quella dell’occhio poetico. Un occhio che certo non tralascia di fermarsi sulla fatica o sulla difficoltà di quello che, con filosofica facilità, chiamiamo stato di natura, ma che proprio nella durezza e l’asperità di quel mondo invita a leggere la bellezza, lontano da una consolatoria e inutile Arcadia.

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Ecco allora che le mani e i volti trasformati in pergamene violate di coloro che hanno passato la vita a curare olivi delle foto di Simone Aprile sembrano rimandarci a pagine di Esiodo ancora intatte nella loro potenza e i fiori di Giosetta Fioroni, esempi cromatici di sottile purezza, sembrano ammonire con grazia l’occhio affinché non scordi che sbocciare è difficilissimo e spesso impossibile. Oppure una foto di Giovanni Chiaramonte che crea un calembour ironico dove una freccia con su scritto «Museo» indica un iridiscente e irreale arcobaleno, uno degli spettacoli di natura più belli ma anche inflazionati e musealizzati in una serie di luoghi comuni. E poi quell’indissolubile legame tra parola e segno grafico di Bruno Munari che genera interrogativi che si fanno bonario trattato di botanica.

Ma natura è anche geografia e se la si deve mappare ai bambini o al modo dei bambini, deve insegnare che la malinconia di una terra che è perduta o che forse non è mai stata può diventare gioco, la più seria delle sublimazioni. E natura è anche da sempre «classificazione», che solo la parola viene a noia…Ecco allora che ricomincia la chiacchierata dell’inizio, ma questa volta tra artisti e illustratori, sempre che confine vi sia, e in compagnia di Lionni, Tessaro, Pinin Carpi, i Mizielinski, Sanna e tanti altri ancora l’universo si squaderna, si scompone e si riallinea, si fa beffa dell’ordine con trenini o buffe creature che altro non sono che segni, cifre e tratti pronti lì a far da ponte tra ciò che durante il giorno chiamiamo realtà e che appena apriamo uno di quei libri diventa, più semplicemente, mondo.