L’efficacia semiotica è una raccolta di interviste di e con Paolo Fabbri per ricostruirne il patrimonio intellettuale orale. Il libro, curato da Gianfranco Marrone per Mimesis (pp. 302, euro 26), contiene conversazioni sulla politica, i linguaggi, la traduzione, i vecchi e nuovi media, la profezia, le arti visive, lo spionaggio, il camouflage. Dai dialoghi emerge la capacità di Fabbri di non limitarsi a visioni univoche, di deviare e riorientare continuamente la rotta, di pensare le cose tramite i loro contrari, i complementari o i contraddittori. È un’occasione unica per vedere all’opera la svolta semiotica (Laterza 1998), cioè la fecondità del metodo strutturale, del pensiero «per differenze», nel descrivere pratiche ed eventi quotidiani.

IL SENSO CIRCOLA, le relazioni sono intrise di significati, ma valli a spiegare! C’è chi si adatta e finisce col dire che «viviamo nel mondo in cui stiamo» e chi invece vuole vederci chiaro, capire come funziona. Fabbri percorre i sentieri di questa ricerca, mette il senso in condizione di significare e incita, maieuticamente, a fare altrettanto. Gli antropologi parlavano di «efficacia simbolica» a proposito di un parto difficile: solo un potente sciamano, con un canto adeguato, indicava la via di uscita (Lévi-Strauss): da dentro a fuori, nella nascita, che è l’atto di trasformazione per eccellenza, straordinario e insieme congenito. Con Fabbri l’«essere» diviene, non è mai ineffabile né indicibile.
Lontano dai saperi imposti per autorità, del tutto ininteressanti, Fabbri è un maestro accanto al quale si pratica l’intelligenza, come capacità di sentire e riorganizzare i momenti della percezione, di vederci giusto, «altrimenti» e «oltremente». Se però i linguaggi in cui fa parlare l’«essere» sono molti – forme espressive varie (verbali, visive, gestuali, musicali…) in traduzione reciproca – la parola è una sola: rigore intellettuale. Trovarsi alla pari con lui non è facile: richiede medesimi ritmi di lavoro, concentrazione nell’analisi dell’impensato e riconoscimento della relazione allievo-maestro, sull’altalena della fiducia. Un patto inaccettabile per chi separa lavoro e svago, ma che riempie di euforia chi ha capito che la semiotica è un progetto di vita, perché possibilità di comprensione del senso.

LE INTERVISTE disegnano l’economia di una disciplina che Fabbri intende come «scienza della significazione» e di cui ha a cuore i destini. Lui che ha avuto un solo maestro, il geniale Algirdas Julien Greimas, professa strenuamente una semiotica marcata, rispetto ad altre dove tutto fa brodo. L’efficacia di questo approccio sta nell’andirivieni fra quattro livelli – descrittivo, metodologico, teorico ed epistemologico. È cioè una teoria che, per funzionare, deve avere pochi presupposti epistemologici, partire da casi-studio scelti secondo criteri di empiria e pertinenza, ed essere coerente con il metodo di descrizione, che è una «cassetta di attrezzi» in divenire – istruzioni alla lettura dettate direttamente dai casi-studio: «programma narrativo» (da miti e fiabe), «modalità», «enunciazione», «punto di vista», «aspettualità», «dimensione passionale», «estesia». Un metalinguaggio molto meno tecnico del gergo calcistico, come piace dire a Fabbri per respingere le accuse mosse alla semiotica, e interdisciplinare: fornisce questi concetti a chiunque voglia usarli.

A PARIGI Barthes lo avvicina alla semiotica, negli anni in cui è una critica dei discorsi ideologici. Si trattava di «sbiancare» i messaggi che i poteri dominanti in politica e nei media spacciavano per ovvii e innocenti. Dietro ci sono «strategie di enunciazione», simulacri offerti all’altro e decisioni interdipendenti. Così il camouflage, nelle società animali e umane, non è un’eccezione, ma la prassi comune di utilizzare la normalità a scopo di segreto.
La guerra, semplicemente, la mutua dal quotidiano e la potenzia. In uno dei passi più intensi de L’efficacia semiotica Fabbri sprona allora a sviluppare un’«antiepistemologia», come analisi dei modi in cui si nasconde la conoscenza (intervista con Marcello Serra, 2012).

Questa prospettiva implica un segno-processo articolato al suo interno, in significante e significato, espressione e contenuto, superficie e profondità (Saussure, Hjelmslev, Greimas). Di qui il confronto di Fabbri con la più nota scuola di Peirce-Eco, spesso ridotta, nelle indagini che vi si richiamano, al problema del segno che rinvia a un altro segno o a una presunta «realtà», come anche risolta nel meccanismo inferenziale: se il segno è camuffato, allora mente. Il che, secondo Fabbri, manda in cortocircuito la disciplina, le toglie il ruolo insostituibile di scienza della significazione, la priva di utilità sociale.

SORPRENDE questa semiotica fabbriana così fedele ai nostri vissuti. Permette di rispondere alle contingenze immediate, ma anche di produrre piccole anticipazioni. Nell’apprenderla, diventa la lingua del pensiero che non si lascia più.