Non si sono persi di vista e fino a qui non è stato difficile. In fondo sono passati appena cinquanta giorni dalla clamorosa e inattesa (almeno nelle dimensioni) vittoria del No al referendum costituzionale. Anche se le dimissioni di Renzi, la nascita del governo Gentiloni e i primi nodi al pettine nei conti dello stato hanno contribuito a spostare l’attenzione sulle conseguenze immediatamente istituzionali del referendum, nascondendo la causa dietro l’effetto. Si è fatta pochissima analisi del voto, si è parlato poco di quei 19 milioni di No. Non fa eccezione il «motore» del No, le donne e gli uomini degli oltre settecento comitati locali nati spontaneamente (i primi già un anno fa quando la riforma costituzionale era ancora in parlamento): anche il loro sguardo è rivolto in avanti. La domanda è cosa fare di un’organizzazione di scopo una volta che lo scopo è stato raggiunto. Una prima risposta all’assemblea nazionale di ieri a Roma.

Assemblea in cappotto, perché lo spazio a disposizione – l’auditorium dell’ex sede abbandonata dall’Inpdap, da qualche anno in autogestione – non è riscaldato e servono a poco un paio di stufe da bar. Così è una fortuna doppia che la grande sala sia gremita. Nessuno ha voglia di chiudere l’esperienza e sciogliere i comitati. Anche perché «abbiamo solo vinto la prima battaglia», dicono in molti prima che Lidia Menapace raggiunga il podio. «Lotta, non battaglia. Basta con questo linguaggio bellico» raccomanda la partigiana novantenne, che fa sorridere spiegando che «anche il Cln era un’accozzaglia» e propone ai comitati: «Una grande iniziativa per fare del 2 giugno la festa nazionale della sovranità popolare, da festeggiare con banchetti all’aperto». Banchetti nel senso di pranzi. La proposta si aggiunge a quelle della relazione di apertura di Domenico Gallo: una petizione popolare per una legge elettorale proporzionale e l’adesione alla campagna elettorale per il Sì ai due referendum sul Jobs act (modi e forme da individuare dopo un confronto con la Cgil che li ha proposti).

Poi c’è la questione delle riforme costituzionali: capitolo chiuso? Se la parola d’ordine condivisa è attuare la costituzione, non cambiarla, da più parti si solleva l’esigenza di due interventi – limitati e puntuali, come raccomanda il presidente Alessandro Pace: la messa in sicurezza dell’articolo 138 per evitare nuove riscritture a maggioranza e il ritorno alla forma originaria dell’articolo 81 per cancellare l’obbligo di pareggio di bilancio. La prima proposta rischia di rendere più difficile la seconda, alla fine nel documento finale letto da Alfiero Grandi trova spazio solo l’articolo 81. Approvati due ordini del giorno. Il primo sulla legge elettorale guarda all’imminente sentenza della Corte costituzionale, protagonista l’avvocato Felice Besostri che martedì proverà a convincere i giudici delle leggi che l’Italicum è tutto da abbattere. Il Comitato auspica una decisione in linea con quella del 2013 sul Porcellum. Con il secondo ordine del giorno Massimo Villone riprende le proposte già presentate ai lettori del manifesto: modifiche ai regolamenti parlamentari «per dare nuova forza e vitalità alle assemblee elettive» e una riforma della legge sui referendum per facilitare la raccolta delle firme e anticipare i giudizi di ammissibilità dei quesiti.

Nello stanzone addobbato con i disegni dei «vignettisti per la Costituzione» e con al centro un bel gufo nero, è però il dibattito sul futuro dei comitati a dominare. Rinviata la questione del nome – passare dal «No» alla «Attuazione della Costituzione» – si afferma l’idea di unificare i due comitati nazionali: oltre a quello per il referendum costituzionale c’è infatti quello per la raccolta delle firme al referendum contro l’Italicum. In effetti si era partiti male, con una sconfitta, avendo i banchetti (nel senso dei punti di raccolta delle firme) mancato l’obiettivo per un soffio – e resta la traccia di un malumore verso lo scarso impegno della Cgil. I comitati regionali indicheranno un rappresentante o due nel consiglio direttivo nazionale, i comitati locali restano in campo sui temi istituzionali e costituzionali (approfondendo il rapporto tra Costituzione italiana e trattati europei) anche se non manca chi allargherebbe l’agenda ad altri temi: immigrazione, scuola, diritti sociali. «La difesa pura e semplice della costituzione non mi pare un terreno fortemente mobilitante», dice la studentessa Martina Carpani. «La lotta per la Costituzione è lotta di innovazione e trasformazione» aggiunge il professore Gaetano Azzariti. Nessuno propone di trasformare il comitato in un partito o in una lista da lanciare alle elezioni, anzi tutti gli interventi lo escludono. Anche quello di Tomaso Montanari per Libertà e Giustizia: «Sarebbe un tradimento». Anche se, dice, «nulla vieta a chi ha partecipato al comitato di candidarsi in una lista che c’è, o che ci sarà».