“I conventi vuoti non servono ad aprire alberghi e fare soldi: sono per la carne di Cristo, sono per i rifugiati”. Le parole giuste nel posto più adatto. Papa Bergoglio conosce i meccanismi della comunicazione, la sua visita al Centro Astalli per i rifugiati e richiedenti asilo in Italia è diventata anche l’occasione per lanciare un sasso nello stagno delle gerarchie cattoliche. E delle stesse istituzioni laiche italiane ed europee, che non brillano certo per dinamismo di fronte all’ormai quotidiana emergenza dei profughi in arrivo dai teatri di guerra nel sud del mondo.

Le stesse modalità della visita pomeridiana di Francesco I alla struttura, corrispondente italiano del “Jesuit Refugee Service” della Compagnia di Gesù, hanno indicato la volontà di Bergoglio di non voler “appesantire” l’appuntamento con i simboli esteriori del papato. Dunque niente seguito, e nessuna scorta ad accompagnare il pontefice, che per arrivare al centro Astalli ha usato l’auto che utilizza abitualmente, guidata del capo della Gendarmeria vaticana Giani.

Oltre ai suoi confratelli gesuiti, ad accoglierlo c’erano solo il cardinale vicario Vallini e il vescovo ausiliare Zuppi, mentre poco prima di lui al centro erano arrivati il sindaco Marino e il presidente regionale Zingaretti. La visita era annunciata, quindi lungo le transenne che delimitano l’area già nel primo pomeriggio si erano assiepate alcune centinaia di persone, alcune delle quali all’arrivo del papa hanno avuto una velocissima, informale udienza.

Ma è stato all’interno del Centro Astalli che il pontefice si è dato da fare, salutando personalmente più di 500 persone fra immigrati e volontari che in quel momento si occupavano della distribuzione dei pasti. Dalla donna incinta che ha ricevuto la benedizione papale ai profughi egiziani, sudanesi, siriani e di altri paesi africani devastati dalla guerra, Jorge Bergoglio ha avuto una parola per tutti: “Molti di voi sono musulmani – ha osservato – e di altre religioni. Venite da vari paesi, da situazioni diverse. Non dobbiamo avere paura delle differenze. La fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza, un dono per tutti”. Poi è entrato nella Chiesa del Gesù, luogo simbolico e significativo per il centro dove si trova la tomba di padre Arrupe, fondatore del servizio dei i rifugiati.

Proprio in chiesa, dopo il saluto che gli hanno rivolto il presidente del Centro Astalli, Giovanni La Manna, e due profughi, papa Francesco è entrato in argomento, chiamando la gerarchia cattolica a un intervento ben più deciso a sostegno degli ultimi del pianeta: “Solidarietà è una parola che fa paura per il mondo più sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma solidarietà è la nostra parola. Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione. Non basta dare un panino, ma bisogna accompagnare queste persone”.

Infine l’affondo: “I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi: i conventi vuoti non sono nostri ma sono della carne di Cristo, che sono i rifugiati. Certo non è semplice, ci vogliono criterio e responsabilità. Ma ci vuole anche coraggio. Noi facciamo tanto ma forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo ciò che la provvidenza ci ha donato per servire. Perché abbiamo bisogno di comunità solidali, che vivano l’amore in modo concreto. Ed è bello – ha conclusoo Bergoglio – che a lavorare per i rifugiati, insieme con i gesuiti, siano uomini e donne cristiani e anche non credenti o di altre religioni, uniti nel nome del bene comune”.