Lo scorso 9 dicembre, il procuratore generale australiano George Brandis, aveva specificato che l’Isis usava i militanti jihadisti australiani come «carne da macello», a seguito della scoperta della morte di almeno 20 combattenti islamici di origine australiana tra Iraq e Siria. Un segnale rilevante: tanti gli australiani catturati dalla propaganda dell’Isis, in un paese tradizionalmente alleato – fedele e senza mai dubbi – delle guerre umanitarie statunitensi.

E come accaduto qualche settimana fa in Canada, questa fascinazione nei confronti dell’Isis si è palesata in casa, in una caffetteria a Sydney, dove una persona inneggiante l’Isis ha sequestrato i clienti, fino all’intervento delle teste di cuoio, avvenuta nel tardo pomeriggio italiano. L’azione ha posto fine ad un sequestro durato 16 ore, ma ci sarebbero stati dei feriti – alcuni gravi – e tre vittime: il sequestratore e due degli ostaggi.

Il quotidiano australiano Sydney Morning Herald, già in mattinata aveva riferito che l’attentatore sarebbe un predicatore iraniano, di nome Man Haron Monis, ben conosciuto dalle autorità giudiziarie, sin dal caso delle lettere ai familiari dei militari per le quali fu condannato nell’agosto 2013 a 300 ore di lavoro nei servizi sociali.

Man Haron Monis sarebbe stato poi formalmente accusato l’anno scorso di complicità nell’omicidio dell’ex moglie nonché madre due suoi due figli. La donna, Noleen Hayson Pal, è stata accoltellata e poi bruciata in un appartamento di Sydney.

Lo scorso aprile Monis, che si faceva chiamare anche Sheikh Haron o Mohammad Hassan Manteghi, è stato infine formalmente accusato per comportamento indecente e violenze sessuali risalenti al 2002 quando faceva il «guaritore spirituale» in un sobborgo di Sydney, spacciandosi per esperto di astrologia, meditazione, numerologia e magia nera.
La notizia dell’inchiesta ha portato ad altre 40 denunce per un totale di 50. Nato in Iran, Monis aveva anche un sito internet nel quale si diceva perseguitato per motivi politici e si paragonava a Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks. «Dato che il governo australiano non può tollerare le attività dello sceicco Haron, sta cercando di danneggiare la sua immagine con false accuse – si legge – ed esercita pressioni per fargli cessare ogni attività e metterlo a tacere. Ma a Dio piacendo, Man Haron Monis non interromperà la sua attività politica contro l’oppressione».

L’azione di Man Haron Monis non dovrebbe aver sorpreso le autorità australiane, i cui caccia stanno partecipando alle azioni contro lo Stato islamico della coalizione internazionale.
Da tempo vengono seguite con preoccupazione le notizie di una partecipazione di cittadini australiani ai combattimenti sul campo a fianco dell’Isis e considerati una minaccia per la sicurezza del paese. A settembre, per la prima volta dalla sua introduzione nel 2003, il sistema di allarme terrorismo è stato innalzato da «medio» ad «alto», mentre già lo scorso agosto le autorità avevano annunciato l’adozione di misure volte a rafforzare la sicurezza del territorio nazionale di fronte alla crescente minaccia dei terroristi «cresciuti in casa».