Un bagno di sangue. Perché il bilancio delle vittime è straziante: 51 morti e 435 feriti. Mentre, la Fratellanza parla di oltre 70 morti e di 5 bambini tra le vittime, ma fonti mediche non confermavano, anche se già nelle prime ore di ieri mattina gli ospedale del Cairo parlavano già dei primi sedici morti.

Si è consumata così, nel modo più brutale, la rottura completa tra esercito e militari. Ora gli uni non si fidano degli altri. E vacilla quell’accordo che aveva mantenuto il paese, per due anni, certo in equilibrio precario. In realtà, dietro le quinte fervono le trattative e non tutti tra i militari, così come non tutti tra i Fratelli, vogliono che lo scontro diventi totale. Pena: la trasformazione dell’Egitto in un campo di battaglia. «La leadership dell’esercito porterà l’Egitto in una nuova Siria», ha detto ieri Mohammed Badie, guida suprema della Fratellanza. Con una rilevante eccezione: i movimenti salafiti. In Egitto, sono, in genere, strettamente legati alla sicurezza di stato e all’esercito, mentre in Siria le cose vanno diversamente.

Della sparatoria del palazzo della Guardia repubblica si parlerà ancora per mesi. Non solo per il numero di vittime e per l’uso esagerato della violenza ma per il clima di diffidenza che ha prodotto nel paese. Che si sarebbe arrivati a questo era chiaro dallo scorso venerdì, quando un gruppo di uomini armati ha sparato uccidendo, nello stesso luogo, tre esponenti islamisti. A quel punto i Fratelli musulmani hanno dato l’ordine di combattere.

Dopo lo spargimento di sangue, l’esercito ha parlato con la stampa. Il portavoce delle forze armate, che hanno messo in atto il colpo di stato militare il 3 luglio scorso, Ahmed Ali, ha assicurato che non permetterà a nessuno di minacciare la sicurezza nazionale. L’esercito ha poi chiesto che vengano «smobilitati i sit-in» promettendo che i «manifestanti non saranno arrestati». A pagare le prime conseguenze della nuova ondata repressiva sono stati i canali definiti vicini alla Fratellanza. Tra questi, la rete tv del Qatar, Al Jazeera, che ha denunciato l’ingresso di militari domenica in redazione. Giornalisti della tv satellitare sono stati allontanati dalla conferenza stampa dei militari dopo le violenze di ieri mattina. «Rifiutiamo la presenza di rappresentanti di al-Jazeera», avevano urlato dei reporter. E in pochi minuti, nella sala stampa è scoppiato il caos e molti giornalisti hanno intonato slogan quali «Via al-Jazeera!». Proprio dal Qatar era arrivata ieri una «dura condanna» per le violenze al Cairo. Il nuovo emiro Tamim bin Hamad al-Thani ha chiesto «autocontrollo» e il rispetto dell’«unità nazionale». Anche l’Iran, dopo la sparatoria, ha definito «inaccettabile» l’«intervento delle forze armate egiziane negli affari politici». Il ministero degli Esteri di Tehran ha condannato «l’uccisione di persone innocenti» accusando «gli occidentali e il regime sionista» di non volere «un Egitto forte».

Subito dopo la strage del palazzo della Guardia presidenziale, il presidente egiziano ad interim Adli Mansour ha ordinato l’apertura di un’inchiesta sulla sparatoria, come chiesto anche da uno dei favoriti per la premiership Mohammed ElBaradei e dall’imam di al-Azhar. Ahmed el-Tayeb ha annunciato che potrebbe «ritirarsi» se in Egitto non si fermeranno le violenze. «Potrei trovarmi costretto a rimanere se tutti non si assumeranno le proprie responsabilità per fermare questo spargimento di sangue» – ha ammesso el-Tayeb, chiedendo che venga subito resa ufficiale la road map per la transizione democratica e che venga costituita una commissione per la riconciliazione nazionale.

Sono proseguiti per tutta la giornata di ieri i colloqui per la formazione del nuovo governo, con due sorprese. Da una parte il «no categorico» a El-Baradei degli islamisti moderati. Il premio Nobel per la pace sembrava già il nuovo premier in pectore lo scorso sabato, ma è arrivato poi il veto islamista e salafita. Una sorte simile è toccata a Bahaa el-Din, economista e presidente dell’Autorità egiziana per la supervisione finanziaria. È stato questa volta il partito salafita al-Nour (luce) a porre il veto sul nome di El-Din e ad annunciare il ritiro dai negoziati.
Con la crisi politica, si aggravano le condizioni di sicurezza al Cairo. La maggior parte dei ponti (6 Ottobre e Qasr El Nil) che conducono al centro della città sono stati chiusi dall’esercito, mandando il traffico in tilt.