I jidaigeki, i film in costume, quelli cioè ambientati nel passato, di solito feudale, del Giappone ed il sottogenere dei chanbara eiga, i film di samurai, anche se non godono della popolarità astronomica dei decenni scorsi sono però ancora abbastanza diffusi nell’arcipelago, specialmente sul piccolo schermo. Alcune di queste serie e produzioni televisive nel recente passato si sono focalizzate ed hanno presentato agli spettatori un quadro storico particolare, la storia di un samurai di colore proveniente dall’Africa. Un fatto che per quanto possa sembrare inventato per esigenze televisive, corrisponde a verità storica anche se, naturalmente, circondato da narrazioni e storie non sempre fattuali. Il Giappone ha avuto un periodo di quasi totale chiusura verso l’esterno dal 1467 al 1603, il cosiddetto Sengoku jidai, caratterizzato da guerre fratricide fra un clan e l’altro e anche dopo l’apertura ufficiale verso l’esterno il paese, un po’ per la sua collocazione geografica ed in parte per le politiche governative, a tutt’oggi è una delle nazioni di prima fascia che accoglie meno rifugiati ed immigrati in genere. E continua poi ad essere un luogo dove lo straniero, specialmente se nero, rimane una strettissima minoranza. Il fatto quindi che nel sedicesimo secolo un giovane africano, il cui nome sembra essere stato Yasufe, sia addirittura diventato un samurai e nientemeno che al servizio del potente Oda Nobunaga, desta a tutt’oggi sorpresa e stupore.

La storia è di quelle che sembrano essere fatte apposta per diventare un film, Yasufe apparteneva probabilmente all’etnia Makue che all’epoca abitava la zona oggi corrispondente al Mozambico ed arrivò nell’arcipelago nel 1579 come schiavo a al seguito del gesuita italiano Alessandro Valignano. Naturalmente il colore della pelle e la sua statura, alto secondo le cronache 1 metro e 88, un gigante in confronto ai giapponesi dell’epoca, lo rendevano una sorta di eccezione antropologica agli occhi degli abitanti dell’arcipelago, sempre secondo alcuni scritti che sono stati tramandati. Lo stesso Oda Nobunaga incredulo lo fece lavare ripetutamente credendo si trattasse di un bianco pitturato di nero. Ben presto però Yasuke, il nome fu cambiato per aderire alla fonetica giapponese, riuscì a farsi ben volere dalle alte cariche, tanto per la sua forza, paragonata a quella di dieci combattenti, che per la sua capacità di comunicare in giapponese, lingua che aveva già studiato in preparazione del viaggio con Valignano. Yasuke seppe in questo modo conquistarsi la fiducia di Nobunaga che lo nominò samurai, fatto eccezionale non solo per il suo essere straniero ma anche per il fatto di essere arrivato in Giappone come schiavo.

Lo shogunato di Obunaga però di lì a poco sarebbe andato incontro alla sua fine, nel 1682 lo stesso signore fu costretto al suicidio dopo che alcuni dei suoi uomini di fiducia appiccarono il fuoco al tempio in cui si trovava. La storia di Yusuke a questo punto diventa più confusa, morto il suo padrone probabilmente l’africano fu rimandato dai gesuiti o forse continuò a girare e combattere per l’arcipelago come ronin, samurai senza padrone. Yusuke non fu l’unico samurai di colore, ce ne furono altri nei decenni successivi, ma resta senza dubbio quello più famoso tanto che è diventato una figura quasi leggendaria, negli anni sessanta dello scorso secolo ispirò per esempio lo scrittore Yoshio Kurusu a creare Kuro-suke, un personaggio protagonista di alcune storie per bambini.

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