Baz Luhrmann lo ha definito «un regista che sembrava conoscere il futuro prima che si realizzasse», mentre per parte sua Seijun Suzuki ha quasi sempre minimizzato il suo prestigio artistico.
«Era più che altro un lavoro, girare film non mi dava un piacere particolare», ha detto in un’intervista parlando degli anni passati alla Nikkatsu, che lo licenziò dopo l’uscita di La farfalla sul mirino. «Dissero che il mio film era incomprensibile», ricordava il regista in un’intervista con il Guardian in occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro, Princess Raccoon. «Non importava cosa pensassi io, che ero convinto di aver realizzato un buon film. Non potevo dissentire, ho potuto solo accettare la loro decisione. E dopo che la Nikkatsu mi ha buttato fuori, nessun altra compagnia di produzione voleva assumermi».

Per lo Studio giapponese Suzuki ha girato un gran numero di film di yakuza: «Non è tanto il genere a interessarmi – ha spiegato il regista – ma la figura dello yakuza o del killer, che vagabonda tra la vita e la morte. Come personaggi sono molto più interessanti delle persone normali: vivono in prossimità con la morte, ed è possibile raccontare come, dove e quando moriranno. Consentono una gamma di possibilità molto più vasta rispetto ad altre tipologie di persone». Oltre che da Quentin Tarantino e Baz Luhrmann, Suzuki è molto amato anche da altri registi occidentali, tra i quali Jim Jarmusch, che lo ha definito il Sam Fuller giapponese e che con il suo Ghost Dog omaggia apertamente La farfalla sul mirino.
Sempre al Guardian Suzuki aveva raccontato di aver detto a Jarmusch che il film gli era piaciuto: «Ma gli ho spiegato che non è una cosa buona che un personaggio muoia per strada. Per noi giapponesi il luogo in cui si muore è molto importante. Ma che civuoi fare? È la cultura americana».