Il decreto salvabanche, quello che mette in liquidazione coatta amministrativa la Popolare di Vicenza e Veneto Banche, è legge. Il Senato ha assicurato al governo la fiducia, con 148 voti a favore contro 91 contrari in mezzo a urla e insulti, soldi lanciati in aula e due annunci di querela per diffamazione: da parte dei Pd veneti Laura Puppato e Giorgio Santini contro la M5S Barbara Lezzi, che nel suo intervento aveva parlato di connivenza tra Pd e sistema bancario, chiedendo alla procura di indagare sui rapporti tra Pd e Banca Intesa. «Abbiamo deciso di querelare – annunciano i due senatori – per le gravi e offensive accuse che ci sono state rivolte in un intervento fatto a uso e consumo dei social media».

«Un salvataggio difficile e necessario finalmente in porto», ha commentato via tweet il premier Gentiloni, fingendo un entusiasmo che probabilmente non prova neanche lui. Difficilmente infatti una fiducia è stata concessa più a denti stretti, e non solo da chi, come Mdp, lo ha ammesso apertamente dichiarando di votare solo per salvare i correntisti che sarebbero andati a fondo. Ma al di là delle dichiarazioni di rito e della soddisfazione ostentata per dovere, ben pochi possono essere contenti di un decreto in cui, come ha detto nel suo intervento la capogruppo di Si Loredana De Petris, «tutto è stato scritto all’interno del cda di Banca Intesa» e approvato dal Senato sotto il ricatto della stessa Banca Intesa, che aveva apertamente minacciato di buttare all’aria l’accordo se i senatori avessero cambiato il testo della Camera.

Per Banca Intesa il decreto è un affare d’oro. In cambio di un euro, acquisisce tutto quel che delle due banche «salvate» è in grado di produrre profitti. Più cinque miliardi di euro cash e altri 12 di garanzie pubbliche per il futuro. Una cifra di tutto rispetto, 17 miliardi di euro, tutta a carico dello Stato, cioè dei contribuenti. Non è neppure vero, almeno per ora, che in cambio siano stati salvati tutti i risparmiatori. È infatti esclusa dal salvataggio la fascia di piccoli azionisti con quote residuali di partecipazione nelle due banche. Il sottosegretario Baretta, tra le righe, ammette la falla: «Abbiamo salvato correntisti e obbligazionisti. Restano importanti impegni da portare avanti sia per la più ampia protezione dei risparmiatori che per un’oculata gestione dei crediti».

L’intervento dello Stato era in realtà inevitabile. In caso contrario a essere penalizzati sarebbero stati non solo i risparmiatori ma anche i lavoratori delle due banche e l’intero sistema economico veneto avrebbe ricevuto un colpo duro. Anche così, peraltro, meno di un terzo degli esuberi sono certamente salvi. Sarebbe però stato possibile procedere per un’altra via, affidando allo Stato non solo i rami secchi e le perdite a carico dei contribuenti ma anche i settori in grado di produrre profitto.

Sarebbe stato necessario arrivare a un confronto con l’Europa, che avrebbe probabilmente accusato l’Italia di violare le regole del bail-in con aiuti di Stato. Ma secondo molti tecnici ci sarebbero state buone probabilità di uscirne vincenti facendo gestire l’operazione dalla Società per la gestione dell’attività acquista, Sga, in forza al ministero dell’Economia, che è pubblica sin dal 2016. Il governo ha scelto di seguire la via più facile, non solo per quanto riguarda il caso specifico ma anche per l’assenza di soluzioni tali da intervenire su uno stato di crisi cronica del sistema finanziario italiano che tornerà a creare problemi a ripetizioni.

In questo modo, però, governo e Pd hanno moltiplicato quella ricaduta d’immagine negativa che ha già avuto effetti devastanti sulla popolarità di Renzi, affondata dalla vicenda delle banche più che da ogni altro elemento. Anche perché l’ultimo capitolo nero del decreto è che sono state espunte tutte le voci relative alla ricerca dei responsabili e alle relative sanzioni. Il blog di Grillo non perde l’occasione: «Banche salvate, risparmiatori truffati».
Ieri sera, al termine dell’ennesima operazione di salvataggio a tutto vantaggio delle banche, qualcuno festeggiava sul serio: il cda di Banca Intesa. Ma nel governo e nel Pd non c’era proprio niente da festeggiare.