C’è il pienone in aula Giulio Cesare per l’assemblea capitolina straordinaria, indetta ieri per discutere le «misure per il contenimento della spesa di Roma Capitale», ovvero l’applicazione del decreto «Salva Roma». Il Campidoglio ha 90 giorni per presentare alle camere e al governo un piano di rientro triennale, mettendo mano ai conti comunali in maniera «strutturale». Ma il piano dovrà per forza di cose precedere il bilancio previsionale del 2014, da approvare entro il prossimo mese.

I tempi sono stretti, il sindaco Ignazio Marino e i suoi lo sanno bene e per far filare tutto liscio hanno messo a punto una cabina di regia. Formata, tra gli altri, dal vicesindaco Luigi Nieri e dal sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini. In Campidoglio c’è la consapevolezza di una giunta apparsa finora litigiosa e poco stabile e un passo falso potrebbe essere fatale all’amministrazione. Marino nel suo discorso rivendica gli sforzi fatti di fronte alle emergenze e ribadisce che «non si tratta, come è stato da taluni evocato, di un commissariamento, seppur mascherato, di Roma». Per poi rispedire al mittente le accuse di Lega e Forza Italia: «Non abbiamo voluto favoritismi, né chiesto agli italiani di coprire con le loro tasse il disavanzo con cui Roma ci è stata consegnata nel 2013».

Nessun commissariamento dunque, eppure le misure previste dal decreto per far quadrare i conti, al netto dei processi di razionalizzazione che faranno risparmiare qualcosa, non saranno una passeggiata. Soprattutto senza andare a toccare il welfare o alzare le tasse. Il processo di «razionalizzazione» non esclude poi l’ipotesi di licenziamenti, o di non rinnovo di appalti e contratti, per le società partecipate in perdita, molte delle quali potrebbero essere messe in liquidazione o pesantemente ristrutturate. Anche per il patrimonio immobiliare si parla di dismissione e valorizzazione. Salve, sul fronte delle aziende municipalizzate, Atac, Ama e Acea, ma non sono esclusi «modelli innovativi per la gestione del trasporto pubblico locale, per la raccolta dei rifiuti e di pulizia delle strade, anche ricorrendo alla liberalizzazione».

Quello di cui Roma ha bisogno, per il sindaco, è una nuova «vision strategica» della quale chiede a tutti di farsi carico, parti sociali, maggioranza e opposizione. Una «visione non limitata agli aspetti di equilibrio economico-finanziario, ma anche e soprattutto al ripristino del valore di alcuni semplici principi quali merito, legalità, servizio alla cittadinanza, competenze». Come a dire: con me ci lasceremo alle spalle lo spoil system, gli scandali sulla corruzione e le parentopoli. Malgoverno e malapolitica non bastano però a spiegare i mali di Roma, dal 2007 i tagli agli enti locali sono stati costanti e i vincoli di bilancio si fanno particolarmente pesanti sulle casse dei comuni, che senza un’inversione di marcia si troveranno a dover privatizzare e svendere. Oggi tocca a Roma, domani potrebbe essere la volta di Napoli e Torino, per citare due tra le grandi città più indebitate.

Dopo il sindaco la parola passa alle parti sociali, alle associazioni, alla società civile. Cauti, ma disponibili al dialogo, i sindacati confederali, che chiedono di mettere mano agli stipendi d’oro e al numero di dirigenti, mentre le associazioni imprenditoriali chiedono più coraggio sulla via delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni. In piazza, durante la seduta del consiglio, i tanti comitati e associazioni preoccupati per le sorti del patrimonio pubblico e della sua «valorizzazione», il terzo settore e i movimenti per i beni comuni. «Speravamo – dice Paolo Di Vetta, portavoce dei movimenti di lotta per la casa – che i processi partecipativi potessero avere ancora un valore, invece è stato faticoso addirittura contrattare per far salire una delegazione».