Dai cristalli di sale, eredità preistorica, al futuro coinvolgente, coloratissimo e immaginifico della realtà virtuale: migliaia di anni sedimentati che affiorano – tra stupore e curiosità – nella mostra Lo Spettro di Malthus, attraverso il racconto non lineare di Marzia Migliore con la curatela di Matteo Lucchetti. Del progetto vincitore dell’Italian Council 2019, ospitato nella sede del museo MA*GA (fino al 14 febbraio) – la prima versione ha fatto parte della collettiva The Quest for Happiness. Italian Art Now nel museo finlandese di Serlachius a Mänttä.

Storia, tempo, ecosistema, industrializzazione, produzione agricola, sfruttamento delle risorse naturali, benessere materiale, plusvalore del modello capitalista, cibo e povertà sono tematiche centrali nel lavoro di Migliora che in questo nuovo progetto vengono approfondite attraverso l’analisi del Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società. L’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus ne pubblicò la prima versione nel 1798: un’osservazione lungimirante che indicava tra le cause di carestie e pandemie mondiali le conseguenze di monoculture e allevamenti intensivi, puntando il dito contro le logiche scriteriate innescate dai meccanismi dell’instabilità tra crescita demografica e produzione alimentare. Un argomento ripreso da Marzia Migliora (Alessandria 1972), convinta che l’arte sia un «dispositivo» fondamentale per la società. Filo conduttore della mostra che vede l’impiego di diversi dispositivi ottici è il sale. «Proviene dai giacimenti posseduti dalla società Italkali in Sicilia, a Racalmuto, Realmonte e Petralia, formatisi 6 milioni di anni fa dalla deriva dei continenti. Il sale è la sintesi del mare. E’ un oggetto interessante per la mia ricerca, perché è stato la prima forma di scambio tra i popoli: dal sale derivano le tasse, il sistema economico e da lì è nato il colonialismo. Inoltre, è un cibo indispensabile per gli uomini e gli animali. Il sale che troviamo in mostra è anche quello presente sulla nostra tavola».
Storia del sale – Miti, cammini e saperi di Pierre Laszlo, tra l’altro, compare tra i testi selezionati dall’artista per lo speciale catalogo in distribuzione con il settimanale Internazionale. Un’edizione d’artista che contiene gli schizzi originali di Marzia Migliora, insieme al testo curatoriale e ai saggi di Vandana Shiva, Tom Standage, Maria Stella Bottai e l’inedito di Emanuele Coccia – Eva.

Già dalla prima opera in cui lo spettatore s’imbatte è evidente il messaggio dell’artista nel richiamarlo ad una partecipazione consapevole. Prey, infatti, è un grande masso di salgemma «predato come una balena, un tonno, un salmone e molti altri pesci che mangiamo, ma che sono molto più cacciati di quanto si riproducano. Ho trattato una risorsa mineraria come una preda di un altro tipo, cacciata violentemente da un arpione in una teca museale inglese di epoca vittoriana. Mi piaceva fare un parallelo tra la macchina museale, il colonialismo o comunque la presa di potere di certe nazioni su altre più deboli», spiega l’artista. L’interazione dello spettatore va dal camminare sulla paglia o sui grani di sale all’avvicinarsi per guardare nella scatola dei diorami teatrali, allungare la mano per tirare il cassetto-vassoio-archivio e osservare i collage, intraprendere il viaggio nelle viscere della terra attraverso la dimensione straniante del vr in cui vengono visualizzati creativamente alcuni passaggi fondamentali del conflitto tra il progresso e i danni causati all’ecosistema.

Oltre a Prey tutti gli altri lavori dialogano tra loro: c’è un continuo affioramento di informazioni, letture, conoscenze, sguardi che Marzia Migliora ha approfondito nel tempo. Un archivio che procede per paradossi citando fonti diverse – libri e trattati, ma anche vecchie cartoline, banconote, riviste, pubblicità – che vengono reinventate per dare al linguaggio una resignificazione. Anche l’elemento iconografico della pianta del mais, quasi una cifra stilistica per l’artista, proviene da questo archivio sentimentale. «Il mais è stato il mio paesaggio naturale. Quando ero piccola ho vissuto in campagna. D’estate non andavo in piscina, correvo come una pazza nel fango, tra i filari di mais, con l’irrigazione automatica che spruzzava acqua da cui nascevano gli arcobaleni».