La foto è tra le più conosciute e incisive del ‘900, ritrae Tommie Smith e John Carlos sul podio di Città del Messico, alle olimpiadi del 1968, dopo aver vinto i 200 metri, con il pugno chiuso ricoperto da un guanto nero e la testa china, mentre è in corso l’inno americano e sventolano due bandiere a stelle e strisce, che indicano il primo e terzo posto dei due atleti neri. I due, che volevano protestare sotto gli occhi di milioni di telespettatori contro la segregazione razziale e le ingiustizie subite dai neri, pagheranno a caro prezzo quella sfida all’America puritana e razzista. Sul podio con quel gesto semplice e simbolico, concordato all’ultimo momento nel sottopassaggio prima della premiazione, Smith e Carlos non solo diedero voce ai neri oppressi dal razzismo, ma smascherarono l’ipocrisia del mondo sportivo che li voleva sulla pista e li considerava americani solo se tornavano utili al medagliere yankee. Il guanto nero, fatto comprare a Denise, la moglie di uno dei due atleti di colore, indicava il potere degli americani sui neri, i calzini neri indossati sul podio senza le scarpe, la povertà della gente di colore. Era la prima volta che sport e politica salivano sul podio delle olimpiadi, era la prima volta che un gesto clamoroso smascherava l’ipocrisia che ammanta la neutralità dello sport. Quel gesto darà vita a una scazzottata tra gli atleti neri e quelli bianchi del team Usa della palazzina 11, dove Smith e Carlos alloggiavano e scatenerà le ire del mondo sportivo ufficiale.
LA VITTORIA
Perché l’hanno fatto? È Smith che risponde in uno studio televisivo del villaggio olimpico, all’indomani della protesta: «Noi siamo neri e siamo fieri di essere neri. L’America bianca confida in noi solo per una vittoria olimpica: quando è così mi chiamano americano, ma se non vinco, o faccio qualcosa che a loro non sta bene, allora dicono negro». Il presidente del Comitato internazionale olimpico, l’americano Avery Brundage, razzista assai caro agli ambienti della destra xenofoba mondiale, amico di stati dichiaratamente razzisti come la Rodhesia e il Sudafrica di allora, fece ritirare tutti i quotidiani dal villaggio olimpico all’indomani del gesto di protesta di Smith e Carlos. I due non solo saranno espulsi dal villaggio olimpico e imbarcati sul primo volo dopo la gara, ma perderanno contratti e dovranno dire addio alla carriera.
LE CONSEGUENZE
La pressione che si scatenerà su di loro, sarà così forte che divorzieranno dalle mogli, sposate giovanissime, Kim la moglie di Carlos si suiciderà nel 1977. Tommie Smith e John Carlos non troveranno lavoro per anni, avranno l’Fbi alle costole, anche se erano semplici atleti, seppur di livello mondiale. Nella interessante collana «Vite Inattese» esce, dal 2 marzo in libreria, Trentacinque secondi ancora. Tommie Smith e John Carlos: il sacrificio e la gloria (66thand2, 23 euro) di Lorenzo Iervolino, che non solo si è recato sui luoghi dove i due atleti si sono formati, grazie a una borsa di studio per meriti sportivi della San Jose University in California, ma ha ricostruito tutto quanto riguarda le loro vite prima che salissero sul podio di Città del Messico, ha raccontato le povertà delle loro famiglie, il duro lavoro del padre di Tommie Smith nei campi di cotone e quello dell’atleta mondiale che per mantenersi agli studi doveva anche lavorare, perché la borsa non era sufficiente. Anche l’infanzia di Carlos fu irrequieta, piccoli furti, spaccio e continue zuffe, ma la polizia non riusciva mai ad acciuffarlo, tanto era veloce nella fuga. Un giorno che due poliziotti gli misero le mani addosso, anziché in commissariato lo portarono sulla pista di atletica e lo costrinsero a correre, avevano capito che era un talento naturale, per John Carlos fu l’inizio di una lunga falcata fino alle olimpiadi di Città del Messico. Le storie di Smith e Carlos, ben raccontate da Iervolino con ritmo intenso e scrittura asciutta, si intrecciano e si alternano tra loro.
LE PROTESTE
Il libro narra con chiarezza il contesto sociale e politico in cui maturò la protesta clamorosa di Tommie Smith e John Carlos, e fornisce alle giovani generazioni il polso della discriminazione razziale in atto in America di quegli anni. Ancor oggi sotto forme diverse i neri d’America sono oggetto di violenze e discriminazioni, tanto da suscitare nuove proteste nel mondo dello sport tra diversi giocatori della Nfl, il campionato di football americano, che restano inginocchiati durante l’inno nazionale, il primo a mettere in atto questa protesta è stato Colin Kaepernik, quarterback dei San Francisco, mentre a Brandon Marshall lineabaker dei Denver Broncos, sono stati cancellati i contratti dagli sponsor per aver imitato Kaepernik. Anche se per altri aspetti e contesti, la storia si ripete, ieri come oggi chi non si piega all’ipocrisia del mondo sportivo paga. Trentacinque secondi ancora è uno di quei due o tre libri da tenere sempre sul comodino e leggere qualche pagina ogni sera, non per conciliare più facilmente il sonno, ma per tenere sveglia la nostra memoria.