Si congeda il Cantiere di Montepulciano numero 46. L’ultimo tassello del mosaico messo a punto dal direttore Mauro Montalbetti, andato in scena al teatro Poliziano, mette a nudo, non solo in senso figurato, la sotterranea, quindi la più ambigua e strisciante, violenza psicologica cui la donna è soggetta nella società contemporanea. Prototipo letterario, costruito secondo la tecnica del monologo interiore è lo Schnitzler della Signorina Else (1924). Dove, in sintesi spietata (l’azione è fulminea: dal pomeriggio alla sera) si consuma il dramma di Else, obbligata a sacrificarsi, «vendendo» il suo corpo per salvare l’onore della famiglia: come cinicamente le consiglia la madre. La tragedia di Else, è la tragedia stessa della borghesia austriaca dopo lo sgretolamento dell’Impero asburgico. Schnitzler opera una mise en abyme della coscienza moderna, sganciata dai valori della tradizione, attenta solo ai propri istinti e ai propri falsi valori. Corrispondente epistolare di Freud, Schnitzler scopre un vaso di Pandora che fino allora aveva tenuto nascoste le pulsioni «innominabili» di un’intera società. Di tutta questa materia, dannata e scivolosa, diluita in poco co più di un’ora, si fa carico il lavoro che il Cantiere ha commissionato al compositore Federico Gardella e alla drammaturga Cecilia Ligorio (sua anche la regia). Gardella spezia la partitura di ritmi febbrili e raffinate coincidenze, sulla linea di un recitar cantando di modernissimo impianto: fratture, slanci, pause, stupori, strazi, una sequenza di echi che arrivano, come lancinanti solfeggi, dall’anima ferita di Else.