«Afrin sarà ripulita entro la fine della giornata» proclamava ieri con orgoglio Mohammed al Hamadin, il portavoce dei mercenari filo-turchi dell’Esercito siriano libero (Els). Cosa intendesse per «ripulita» lo hanno chiarito bene le immagini giunte dalla enclave curda conquistata due giorni fa dalle truppe di Erdogan. Trattori con i rimorchi e autocarri carichi di materassi, elettrodomestici, sedie, televisori, tavoli, animali, cibo. I mercenari dell’Els hanno saccheggiato Afrin proprio nei giorni in cui i suoi abitanti avrebbero dovuto festeggiare il Newroz. Hanno preso tutto ciò che potevano dalle case e dai negozi abbandonati dai proprietari fuggiti con altri 200mila civili curdi sotto i bombardamenti turchi. Domenica, appena entrati in città, quelli dell’Els avevano distrutto la statua di Kawa, l’eroe che il 21 marzo del 612 aC liberò dagli assiri i Medi, gli “antenati” dei curdi. Gli ufficiali turchi li hanno lasciati fare, proprio come un tempo facevano i comandanti della armate vittoriose che al termine delle battaglie garantivano alle milizie alleate il diritto al bottino di guerra.

Da Ankara intanto il desposta Erdogan fa sapere che l’offensiva “Ramo d’ulivo” continuerà fino alla completa eliminazione di quello che chiama il «corridoio del terrore» al confine turco-siriano. E lancia una nuova minaccia: saranno prese anche le città di Manbij, Kobane, Tell Abyad, Ras al Ayn e Qamishli, per annientare le Unità combattenti curde di protezione del popolo (Ypg). «Abbiamo già neutralizzato 3.662 ‘terroristi’» ha aggiunto intendendo i nemici uccisi, feriti o fatti prigionieri.

L’Amministrazione autonoma di Afrin ha fornito un bilancio terribile: oltre 500 civili uccisi, 1.030 i feriti, 820 i morti tra gli uomini delle Ypg. I combattenti curdi per evitare altri massacri sono arretrati verso Aleppo, all’interno delle linee controllate dall’esercito siriano, ma non si sono arresi anzi. Promettono di trasformare Afrin in una tomba per i soldati turchi e i mercenari dell’Els. «Erdogan sta compiendo una pulizia etnica e un genocidio ad Afrin» ha detto Othman Sheikh Issa, un rappresentante delle Ypg, assicurando subito dopo che «il nostro popolo negli ultimi 58 giorni ha mostrato una tenace resistenza contro il secondo esercito più potente della Nato». Da ora in poi, ha avvertito, «utilizzeremo nuove tattiche. Le nostre forze sono ovunque nella regione di Afrin e prenderanno di mira le postazioni del nemico, diventeranno il loro incubo. La resistenza continuerà finché non avremo liberato ogni area e il popolo sarà tornato a casa». Le Ypg hanno già attaccato con armi anticarro un convoglio militare turco presso la diga di Maydanky e con ogni probabilità sono dietro l’ordigno che in un edificio di Afrin ha ucciso una dozzina di miliziani dell’Els.

Sullo sfondo ci sono le blande critiche dell’Europa e le pelose “preoccupazioni” del Dipartimento di stato americano. Erdogan flette i muscoli, in vista del vertice di Istanbul con il presidente russo appena riconfermato Putin e quello iraniano Hassan Rohani. Il suo obiettivo è affidare all’Els il controllo delle porzioni di Rojava strappate ai curdi. Offrendo in cambio l’uscita dalla Ghouta Est delle bande armate salafite di Jaysh al Islam e dei jihadisti di Failaq al Rahman, consentendo così alle forze armate siriane di riprendere il pieno controllo dell’area a ridosso di Damasco. Ma non è detto che i suoi progetti si realizzeranno. Ieri la Siria ha intimato alla Turchia a ritirarsi immediatamente da Afrin e di abbandonare al più presto il territorio siriano che ha occupato.