Il governo di Matteo Renzi si appresta a varare il suo primo provvedimento interamente dedicato all’ambiente. Anche stavolta Palazzo Chigi ha scelto la strada del decreto. Sul tavolo del consiglio dei ministri era arrivato già nella riunione del 18 aprile scorso. Ma non era stato approvato. Il sospetto è che nella maggioranza non siano tutti d’accordo sui suoi contenuti.

L’obiettivo del provvedimento, si legge nella relazione illustrativa, è di «ridurre le procedure di infrazione comunitarie aperte nei confronti dell’Italia in materia ambientale, che sono numericamente le più rilevanti» d’Europa. Con ben 119 procedimenti aperti (22 dei quali riguardano l’ambiente), il nostro Paese è il più inadempiente: nel solo 2012 è stato condannato dalla Corte di Strasburgo a versare indennizzi per 120 milioni. Può sembrare una cifra tutto sommato ridotta ma è la più elevata pagata dai 47 Stati membri del Consiglio d’Europa. Cui si aggiungono le 14.400 cause pendenti davanti alla Corte dei diritti dell’uomo, un numero secondo soltanto a quelle della Russia. Lo sperpero di denaro pubblico non è maggiore solo perché l’Italia si adegua alle leggi comunitarie subito prima della condanna definitiva. Ma provocando ugualmente il congelamento di risorse europee già stanziate, come i 500 milioni per i rifiuti campani inutilizzabili da 7 anni. Il decreto poi predispone «le ulteriori disposizioni per superare condizioni di impasse nei diversi settori in cui la disciplina ambientale si articola»: efficienza energetica, mitigazione del rischio idrogeologico, bonifiche, protezione della fauna e gestione dei rifiuti.

Emergenza Roma

Proprio in quest’ultimo ambito, la bozza del decreto contiene quella che è forse la decisione più dirompente. Molto probabilmente, quella che ha fatto bloccare il testo in consiglio dei ministri. Si tratta dell’articolo 6, le cui novità stanno sicuramente incontrando resistenze. È il «ricorso temporaneo a forme, anche speciali, di gestione dei rifiuti, anche con poteri di requisizione in uso degli impianti e in deroga». In sostanza, nel caso gli enti locali ritengano ci sia una crisi nel proprio ciclo di smaltimento dei rifiuti, possono, senza dover seguire il normale iter previsto dalle norme, requisire gli impianti di smaltimento. Il decreto, naturalmente, non parla mai di Roma e del Lazio, ma la norma sembra appositamente studiata per la Capitale. Perché «la portata della norma» viene estesa «alle situazioni di pericolo ancora allo stato potenziale». Vuol dire che per adoperarla non servono montagne di sacchetti per le strade. E Roma, da quasi un decennio, è sull’orlo dell’emergenza rifiuti. Colpa di un ciclo basato quasi esclusivamente sulle discariche, in barba alle norme europee, peraltro nelle mani di un privato, Manlio Cerroni, finito ai domiciliari con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico dei rifiuti e le cui aziende sono state colpite dall’interdittiva antimafia.

Il risultato è che la raccolta differenziata, gestita dal pubblico tramite la municipalizzata Ama, resta ferma al 24%. Dopo la chiusura nell’ottobre 2013 della mega discarica di Malagrotta, aperta nel 1974, tra le più grandi d’Europa ma fuorilegge, tanto da aver operato sempre e solo grazie a deroghe alle norme comunitarie, il «rischio Napoli» è stato ogni giorno più vicino. La settimana scorsa lo stesso sindaco di Roma, Ignazio Marino, aveva annunciato che il blocco della raccolta sarebbe stato evitato solo grazie a un decreto. E tra le ipotesi in campo, c’era proprio quella di requisire gli impianti della Colari di Cerroni. Una misura che di certo non va giù al «re dell’immondizia», che in questi anni ha fatto il bello e il cattivo tempo tenendo in pugno gli enti pubblici sulla gestione della spazzatura.

Il Sistri

L’articolo 6 riguarda in realtà «ordinanze contingibili e urgenti, poteri sostitutivi e modifiche urgenti alla disciplina del contratto per il Sistri», il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti pericolosi, che doveva sostituire le vecchie bolle cartacee facilmente falsificabili e negli intenti degli ideatori (il II governo Prodi solo per la Campania e il IV governo Berlusconi per l’Italia intera), porre un freno al loro smaltimento illegale. L’entrata in vigore della tecnologia digitale, in questi anni, è stata rinviata per ben 8 volte; l’appalto è andato alla Selex Service Management (Finmeccanica), senza gara e col contratto secretato. Fatto sta che oltre ad essere molto oneroso per lo Stato e le imprese (le black box sono state pagate 500 euro, la francese Viacom le affitta a 35 euro l’anno), non prevede oneri a carico dell’impresa nel caso in cui il sistema implementato, come poi avvenuto, non sia operativo. Nel decreto ora è scritto che «nella rideterminazione del contenuto del contratto sono detratti gli oneri sostenuti dall’amministrazione per le attività istruttorie svolte per il concessionario». Visto che lo Stato sta rinegoziando il contratto per cercare di metterlo in funzione in tempi stretti, non vuole ripetere l’errore del passato, stabilendo «criteri minini» che il nuovo accordo «deve garantire».

Bonifiche e parchi

Tra le altre misure del dl, la semplificazione delle procedure di valutazione delle bonifiche, rendendo utilizzabili i suoli anche prima della conclusione dei lavori o facilitando gli operatori che intendono farle a proprie spese. Poi la promozione di interventi per l’efficienza energetica nelle scuole, usando i fondi di investimento immobiliari chiusi, promossi o partecipati dagli enti locali, che verranno gestiti dalla Cdp. Infine, la nomina entro 90 giorni del presidente del Parco delle Cinque Terre, la possibilità per gli enti locali di emettere «misure vincolanti di controllo dell’inquinamento» e la cancellazione di diversi commissari per il rischio idrogeologico: quelli del Po, dell’Alto Adriatico, dell’Adige, dell’Arno, del Tevere, del Liri-Garigliano, del Volturno e della Sardegna, alle cui Autorità di bacino di rilievo nazionale andranno tutti i poteri, compreso quello di deroga alle normative riguardo ai permessi, ma soprattutto la contabilità speciale e l’onere di proseguire gli interventi.