Negli anni Sessanta e Settanta, Carolee Schneemann ha rappresentato un corpo-incubo sulla scena dell’arte contemporanea. Ogni volta che appariva nella dimensione pubblica, rompeva tabù e spingeva sulla deflagrazione dei confini sessuali. Tanto da farsi riprendere con il suo partner durante gli amplessi in un film-mosaico come Fuses (1964-67), o allestire set altamente disturbanti, come quelo di Interior Scroll (1975) dove, di fronte a spettatori attoniti, sfilava dalla sua stessa vagina un testo che poi recitava (nuda e sporca di fango su un tavolo). «Ho pensato alla vagina in più sensi – confessò serafica all’epoca – sia come luogo di conoscenza sacra che passaggio verso la vita, o fonte di misteri e struttura architettonica».

La Biennale di Venezia 2017 ha assegnato il Leone d’oro alla carriera a questa pioniera della performance femminista (le verrà consegnato il 13 maggio), una decisione presa dal Cda presieduto da Paolo Baratta, su proposta della curatrice dell’Esposizione internazionale, Christine Macel. «L’artista – ha spiegato – concepisce la donna sia come creatrice sia come parte attiva della creazione stessa. In opposizione alla tradizionale rappresentazione delle donne quali semplici oggetti nudi, Schneemann ha utilizzato il corpo nudo come forza primitiva e arcaica in grado di unificare le energie. Il suo stile è diretto, sessuale, liberatorio e autobiografico».

In realtà, Schneemann, da solitaria body-performer ha plasmato il suo stesso corpo trasformandolo in una installazione vivente, che comprendeva momenti filmici e azioni estemporanee. È suo anche il fondoschiena mostrato nel film di Yoko Ono Four . Una delle sue opere più conosciute è Meat Joy (’64), un rito orgiastico e coreografico in cui uomini e donne, seminudi, mimando una danza erotica si dipingono l’un l’altro, strofinandosi, rotolandosi, tirandosi polli, carne e pesce: l’azione, proposta per la prima volta al Festival di libera espressione presso il Centro Americano a Parigi, fu poi ri-eseguita al Judson Memorial Church di New York.

Schneemann ha lavorato in contiguità con Fluxus, ha frequentato la Factory di Warhol ha collaborato con Rauschenberg e Glass, ed è sempre stata una stretta amica del regista sperimentale Stan Brakhage. Fra i suoi video, c’è anche Viet Flakes, composto da fotogrammi delle atrocità della guerra del Vietnam: un collage di morte e torture, accompagnato dalla musica dal suo compagno James Tenney – canti tradizionali di quel paese mixati a canzoni popolari americane.