Fuori dalle convenienze, dai luoghi e – soprattutto – dai «suoni» comuni. L’incontro fra il cantautore genovese e la tigre di Cremona concretizzatosinegli undici inediti che compongono Mina Fossati, in uscita venerdì 22 novembre per Pdu/Sony Legacy, era nel segno delle cose. Dovevano incontrarsi già nei primi anni del nuovo millennio, subito dopo il primo disco di duetti con Celentano, ma motivi editoriali – e forse una ritrosia dello stesso Fossati – avevano congelato il progetto. Un’idea a cui Mina non ha mai rinunciato tanto da tornare alla carica due anni fa: «E così ho scoperto – spiega Fossati al Conservatorio di Milano dove il disco è stato presentato in anteprima come evento inaugurale della Music Week meneghina – che Mina pensava ancora a questa collaborazione. Non nascondo di aver avuto qualche esitazione, poi sono tornato a casa, ho raccontato della proposta a mia moglie e lei mi ha risposto: ’se dici no a Mina, chiedo il divorzio’. Ma è stata un’eccezione, una gioia che non mi sarei mai negato».

PERCHÉ Fossati otto anni fa ha deciso di dare un taglio a tournée, dischi, rapporti con la stampa, concedendosi sporadicamente per qualche pezzo donato a Fiorella Mannoia, Loredana Bertè, Anna Oxa. Un beato «ozio» – come dice lui – contrariamente a Mina che si è ritirata sì dalle scene 41 anni fa, ma macina progetti discografici con una continuità disarmante. L’album è un progetto nato originariamente pensando a un’alternanza tra il vecchio repertorio fossatiano insieme a tracce inedite: «Ma è diventato altro – spiega Massimiliano Pani che del disco è coproduttore con Fossati e arrangiatore – è cominciato con una provocazione da parte di Mina: ’facciamo due cose insieme’ poi la cosa è cresciuta. I pezzi non sono arrivati tutti insieme, arrivavano a blocchi di due sotto forma di provini, una vena compositiva incredibile. Per me è stato un piacere, anche perché sono sempre stato un ’sorcino’ di Fossati, il mio primo disco acquistato con la paghetta è stato proprio La casa del serpente nel 1977…».
Arrangiamenti fatti in sottrazione, più vuoti che pieni…: «Quando si è giovani si pensa a dimostrare le proprie capacità e si inserisce tutto, sbagliando. L’abilità sta proprio nel mettersi al servizio dell’interprete».

LE DIFFICOLTÀ possono sorgere amalgamando una voce maschile e una femminile: «Solo raramente ho utilizzato escamotage per sottolineare i cambi di tono, su altri pezzi siamo entrati in maniera morbida. Lavorare con quelli bravi è facile perché non hanno frenesie artistiche. Non hanno incertezze, debolezze. Il lavoro dell’arrangiatore alle volte è psicoterapia…». Undici pezzi testi e musica di Fossati, ma l’interprete cremonese nel ruolo di Musa è ben presente: «Sì perché – spiega l’autore sul palco della sala milanese stracolma di pubblico – l’idea di Mina pura interprete è totalmente sbagliata, in realtà è una grandissima musicista. Dietro ogni parola che canta, ad ogni nota c’è un pensiero che si fa suono. Quando ci trovavamo in sala ad ascoltare i brani, Mina non li analizzava come noi li ’scannerizzava’ letteralmente. Quando ho cominciato a scrivere per lei mi sono accorto che le idee fluivano anche perché Mina suggeriva soluzioni. Ci conosciamo da anni e so che le sue scelte sono a volte spiazzanti, ma lei sta sempre avanti anni luce. Per Mina non esiste la parola passato, se cercate di farla parlare su quello che ha fatto si chiude ma se solo accennate a progetti futuri si trasforma in una valanga di idee».

DISCO di passioni, con vaghi accenni all’attualità (La guerra fredda) e qualche ironica polemica con i giornalisti (Farfalle). Emerge nei testi – se ancora serviva ribadirlo – l’abilità di Fossati nel raccontare l’universo femminile: «Chissà perché mi considerano un esperto in materia – ride – in realtà non ci capisco nulla. Più seriamente io amo ascoltare le donne: lo faccio con la mia compagna ma anche con le amiche di mia madre».