Gennady Zyuganov segretario generale sin dal 1993 del Partito comunista e quattro volte candidato al Cremlino va in pensione. O quasi.

Dopo un tormentato dibattito a porte chiuse il Partito Comunista della Federazione Russa ha scelto di candidare per le presidenziali russe del prossimo 18 marzo Pavel Grudinin, boss del settore agroalimentare della provincia di Mosca e presidente di una holding familiare dal valore di decine di milioni di dollari.

Una “rivoluzione culturale” per uno degli ormai pochi partiti comunisti al mondo che si richiamano orgogliosamente non solo a Marx e a Lenin ma perfino a Stalin.

IL “CAMBIO DI CAVALLO” era nell’aria da tempo. Nelle ultime elezioni alla Duma il partito era crollato al 13% e gli ultimi sondaggi davano Zyuganov ben sotto la soglia critica del 10%. Così nel congresso straordinario tenutosi poco prima di Natale, secondo il sempre ben informato Kommersant, i “giovani turchi” hanno imposto l’uscita dalle scene di Zyuganov. Ma non si tratta solo di una faccenda di leadership.

Le nuove leve vogliono svecchiare un partito il cui 49,3% è composto da pensionati, anche programmaticamente: basta con i richiami all’epoca del Gulag e le minacce di nazionalizzazioni che spaventano gli elettori e largo a più proposte concrete in tema di salari e di lotta alla corruzione. «Il mio modello di socialismo? La Svezia», afferma convinto Grudinin, anche se poi a microfoni spenti dice di apprezzare piuttosto «il modello cinese».

IL NUOVO CANDIDATO piace anche al «Fronte di Sinistra» di Sergey Udalzov, il quale uscito di prigione dopo quattro anni per le manifestazioni anti-Putin del 2012 ha cambiato di 180 gradi l’orientamento della sua organizzazione: niente più alleanze con i liberali di Navalny e pollice alzato al rinnovamento del Partito comunista. «Grudinin è un candidato che può parlare anche all’area liberal» sostiene Udalzov.

Già, perché il nuovo candidato dei comunisti, comunista non lo è mai stato. In politica inizia a farsi le ossa nel 2000, a 40 anni, quando è uno dei frontman della campagna elettorale di Putin. Ma al partito del presidente, Russia Unita, si iscrive solo nel 2005.

Pavel Grudinin
Il mio modello di socialismo è la Svezia. Ma anche la Cina…. Intanto il socialismo l’ho realizzato nella mia azienda, la Lenin Spa

Deputato regionale e provinciale di Russia Unita fino al 2011, Grudinin esce dal partito sbattendo la porta dopo uno scontro in materia di incarichi. «Avevo capito che era diventato un covo di ladri e corrotti» dice oggi nelle sue apprtizioni televisive. Si avvicina al Partito di Vladimir Zirinovsky, formazione xenofoba e di estrema destra. Zirinovsky va a visitare la Lenin Spa l’azienda agroalimentare di Grudinin e ne resta colpito per modernità ed efficienza.

«Noi – afferma orgoglioso Grudinin – il socialismo lo abbiamo realizzato nella nostra azienda». Appartamenti a mutuo agevolato per tutti i dipendenti nel territorio dell’azienda dotati di doppi servizi e Tv satellitare. E poi giardinetti recintati e supermercato a un passo, tutto costruito e finanziato dalla sua Lenin Spa. Non sarà Milano 2 ma non ricorda neppure le miserabili “città-fabbrica” dell’800.

Con Zirinovsky rompe presto, differenze di carattere si dice. Nel 2013 si avvicina al Partito Comunista, a cui però non si è mai iscritto, ma solo nel 2017 riesce a farsi rieleggere come consigliere provinciale.

GRUDININ non è certo il primo businessman a essere legato al Partito comunista. Molti “direttori rossi” quando negli anni ’90 scattarono le privatizzazioni, rastrellarono le azioni delle aziende che dirigevano diventandone i titolari e il partito comunista soprattutto fino a quando veleggiava oltre il 20% dei voti e controllava il governo di alcune regioni del paese, rappresentava un’ottima lobby per tutelare i loro interessi.

Pavel Grudinin con Gennady Zyuganov - LaPresse
Pavel Grudinin con Gennady Zyuganov – LaPresse

Grudinin è uomo di poche parole, non certo un teorico formatosi sui «classici del marxismo». Dopo il diploma entra a lavorare al kolkhoz «Lenin» come tecnico, ma con la perestrojka diventa direttore dell’azienda. Quando scattano le privatizzazioni è in grado di acquistare il 40% delle azioni della Spa Lenin. Da qui comincia la scalata del «re delle fragole», una delle produzioni più apprezzate della sua azienda, la quale diventa persino un modello corporativo: pace sociale, servizi per i lavoratori, salari relativamente alti. Sussidi statali e protezione del mercato ortofrutticolo da parte del governo fanno il resto.

In realtà Grudinin, afferma il giornale on-line Kompromat, le sue gustosissime fragole le farebbe giungere in gran parte dalla Turchia, utilizzando i terreni fuori Mosca della Lenin Spa per ben più lucrose attività.

Secondo Life.ru il successo della “Lenin” sarebbe in realtà legato alla speculazione immobiliare. Grudinin nel 2000 avrebbe acquistato da contadini della zona dei terreni ad uso agricolo, poi trasformatisi per incanto in terreni edificabili. Life sostiene che «le entrate derivanti dall’affitto delle sue terre “d’oro” ad uso dei prefabbricati del centro commerciale Vegas, StarLight Cash & Carry, Weimart e degli autosaloni di Nissan, Toyota e Lexus» producono entrate per la Lenin Spa per oltre 100 milioni di dollari all’anno.

UN BOTTINO, che ha permesso a Grudinin e ai suoi due fratelli di creare una holding di famiglia, attiva in molti settori: dalla vendita di accessori auto fino alla telefonia.

Ora inizia l’avventura presidenziale. L’obbiettivo dichiarato di Grudinin: arrivare al ballottaggio. Ma nella sede del Partito comunista stanno con i piedi per terra: «Se restiamo il secondo partito e superiamo il 10% sarà un successo».