Il Colosseo come dispositivo per attivare l’immaginario, luogo architettonico che travalica la sua storia per attraversare i secoli, anche e soprattutto nella visione di artisti e letterati. Non solo. L’anfiteatro Flavio, una volta dismesso il suo ruolo ludico, la sua identità di grande macchina per il consenso imperiale, non ha perso la sua vitalità, subendo innumerevoli trasformazioni, alcune – quelle medievali – assai poco conosciute.

È QUINDI UN MONUMENTO che, pur se a volte dimenticato, usato come sfondo, scenografia, abitazione fortificata, mercato, arena per il culto, ben presto accoglie una metamorfosi in icona, da cui il titolo della mostra che lo percorre in questi giorni (fino al 7 gennaio 2018). La rassegna, a cura di Rossella Rea, Serena Romano, Riccardo Santangeli Valenzani, promossa dalla Soprintendenza speciale per il Colosseo con Electa (che pubblica The Colosseum Book, un’agile passeggiata cartacea tra le vicende di «quella cappelliera piena di buchi e finestre», come scriveva Mark Twain), è divisa in dodici sezioni e ha avuto una gestazione lunghissima, che ha permesso una narrazione in forma di romanzo, con approfondimenti e alcune inedite pagine da sfogliare. È una esposizione «summa» che, secondo i curatori e il soprintendente Prosperetti, dovrebbe conquistare uno spazio di permanenza: in epoca di turismo di massa, infatti, in pochi conoscono la storia di questa architettura dinamica, se si prescinde dai tempi dei Cesari.

Il periodo meno noto della sua travagliata esistenza – tra crolli, spoliazioni di materiali, interramenti e riscoperte «al chiaro di luna» – è quello medievale, quando la potente famiglia Frangipane vi si insediò con tanto di fortezza (in mostra c’è anche una ricostruzione in scala di ciò che è arrivato a noi dai disegni degli artisti del Cinquecento). Durante i recenti, e assai controversi, restauri della facciata del monumento, si è potuto ricostruire il camminamento esterno dei militari che lì erano a guardia. Oggi, gli stessi soldati li troviamo in strada, con mitra spianati, a scoraggiare eventuali terroristi (e pure i visitatori).

LA REALTÀ è che il Colosseo, fin da suoi esordi, ha innescato un ingranaggio simbolico che è rimasto sempre in funzione. Fra le sue arcate, pullulava una vita intima (le case appartenenti a diverse classi sociali) e una sociale (botteghe del commercio, con una importante postazione della corporazione dei macellai). Intorno però il territorio si andava via via desertificando e l’anfiteatro Flavio appariva tutto rotto, con vari crolli – smantellato e con la struttura indebolita fin dall’età gota con Teodorico – , avvolto da vegetazione. Tanto che alcuni botanici vi rinvennero circa 400 specie di piante, alcune molto rare. Nel Cinquecento, il Colosseo ospitò addirittura un ospedale finanziato dalle famiglie gentilizie (di cui si sono rintracciati alcuni stemmi), mentre nei secoli successivi è stato un centro di potere per l’imagerie artistica («quando si è visto questo monumento, tutto sembra meschino», chiosa Goethe) e quella cinematografica, sia come scorcio che come luogo fisico, reminiscenza vivente dell’antichità (Quo Vadis nel 1913).