Apparteneva alla generazione degli scrittori che hanno portato la letteratura israeliana, e le sue problematiche, di fronte alle platee del mondo. Ma, a differenza dei vari Grossman, Yehoshua, o il compianto Oz, aveva sempre interpretato con parsimonia il proprio ruolo pubblico, raccontando nei suoi romanzi l’incedere individuale e incerto di una lingua che andava rinascendo intrecciata ad una storia collettiva che si compiva non senza dolorose contraddizioni.

Una decina di anni fa, intervistato da Pagine ebraiche in occasione della sua partecipazione al Festivaletteratura di Mantova, si era schermito, spiegando: «Non posso scrivere di temi politici come i miei colleghi e buoni amici. Non è un fatto di scelta ma di carattere: non ne sono capace. Ciò non significa però che non mi esprimo su temi politici. Sono iscritto a un partito, Meretz (di estrema sinistra ndr); firmo spesso appelli pubblici e il pubblico sa bene come la penso».

YEHOSHUA KENAZ se ne è andato ieri a 83 anni per complicazioni legate alla pandemia di Covid 19 che sta colpendo duramente anche Israele. A darne notizia, Anshel Pfeffer, noto giornalista di Haaretz, il quotidiano di sinistra per cui Kenaz era stato a lungo critico letterario.

Nato a Petach Tikva, nella Palestina mandataria nel 1937, Kenaz aveva studiato filosofia all’Università Ebraica di Gerusalemme e letteratura francese alla Sorbona. Sarebbe diventato il maggiore traduttore in ebraico dei classici transalpini: da Balzac a Flaubert, da Stendhal a Simenon, da André Gide a Patrick Modiano.

Ma la sua vera passione, coltivata fin da giovanissimo quando, poco più che ventenne, era redattore della rivista letteraria Keshet, dove avrebbe pubblicato con uno pseudonimo i suoi primi racconti, è stata sempre la scrittura.

Figura di primo piano della scena letteraria di Tel Aviv, vincitore di tutti i maggiori premi del Paese dedicati alla narrativa, Yehoshua Kenaz è autore di oltre una decina di romanzi, usciti anche in Italia a partire dagli anni ’90 e ripubblicati da Giuntina. Opere che affidano ad uno sguardo interiore e alla fragilità dei sentimenti la scoperta dell’altro e l’interrogarsi sui destini individuali e collettivi.

COME ACCADE per Paesaggio con tre alberi (Nottetempo, 2009), dove un bambino osserva la convivenza tra ebrei europei e provenienti dal mondo arabo ad Haifa negli anni ’40, o nei due romanzi dello scrittore ripresi al cinema. Non temere e non sperare (Giuntina, 2013), una storia di formazione negli anni che segnano la nascita di Israele, da cui Dover Koshashvili ha tratto un lungometraggio. E Ripristinando antichi amori (Giuntina, 2010) dove una donna coltiva un amore segreto per uno sconosciuto che ha ispirato il film Alila di Amos Gitai.