Una leggenda alla rovescia. Sgangherata, sopra le righe, ossessiva, masochistica, irrimediabilmente nostalgica. Parla di tutto questo e di molto altro ancora (o forse semplicemente di cosa ha significato essere romanisti tra gli anni novanta e gli anni duemila) Tutti romani, tutti romanisti di Andrea Cardoni (Marcos y Marcos, € 16).

Al centro del libro c’è un giocatore presto diventato l’incarnazione della schiappa suprema: Cèsar Gomez.

Spagnolo, classe ‘67, giovanili nel Real Madrid, poi squadre minori fino ad arrivare al Tenerife e da lì, per motivi mai del tutto chiariti, l’arrivo nella capitale. Ad averlo reso protagonista di questo libro è l’unica partita ufficiale disputata con la maglia giallorossa, il derby Roma – Lazio del 1 novembre ’97 finito 1 a 3. Una semplice sconfitta si dirà…

Certo, ma se si aggiunge che quella fu solo la prima di ben quattro capitolazioni conseguite nei derby stagionali, il quadro anche davanti ai profani può facilmente diventare un altro.

Partecipando a quel record devastante per il morale dei tifosi romanisti, Gomez cambia di status, passa da oggetto misterioso a icona deforme. Non giocherà mai più, ma nonostante questo ci terrà ad onorare tutti e quattro gli anni di contratto stipulati, con annesso, lauto ingaggio di oltre un miliardo e mezzo di lire. C’è chi dice che Gomez si aggiri ancora da queste parti, abbia acquistato un concessionario di automobili e viva ancora a Roma, come un fantasma restio ad abbandonare la città che in tutti i modi ha cercato di ripudiarlo.

Proprio in quel lasso di tempo tra il derby unica apparizione e i restanti tre anni e mezzo di permanenza nella rosa della Roma, iniziano a fiorire tutta una serie di leggende, favole grottesche, invenzioni pure che sono la carne di questo libro.

Un libro che ha il felice esito di sembrare venuto fuori da sé, senza il minimo sforzo dell’autore, ma di cui invece si intravvede la sapienza costruttiva oltre che la conoscenza della materia trattata.

Questi frammenti sulla vita della Roma non riguardano solo quell’anno reso maledetto dai quattro derby persi, ma tutta una stagione contrassegnata da molti giocatori scarsi, pochi risultati apprezzabili, un’epoca in cui si era arrivati a credere che le sconfitte avventurose, le rimonte arrestate a un passo dal traguardo, fossero l’unico tipo di vittoria possibile e immaginabile.

Si arriva così a comporre una sorta di album emotivo della storia del tifo giallorosso iniziato con la tragedia delle tragedie, la sconfitta in casa nella finale della Coppa Campioni con il Liverpool ai rigori, e culminata appunto con i quattro derby persi in un anno.

Si parla di calcio, certo, ma da un punto di vista che può distaccarsi facilmente dallo specifico e diventare racconto corale di una città che ha fatto della disillusione il suo sentimento più pregnante e di una battuta fulminante l’unica rivincita possibile che le è concesso prendersi.

Come quella volta che ai cancelli di Trigoria, la sede della Roma dove la squadra tutti i giorni si allena, un anonimo tifoso si avvicina e urla “A Cèsar Gomez se vieni qua te faccio l’autografo.”